Ci sono voluti sette anni di trattativa, ma alla fine l’Assemblea generale ONU ha adottato il Trattato sul commercio delle armi convenzionali. Con il voto favorevole di 153 Stati membri, quello contrario di Siria, Corea del Nord, Iran e l’astensione di 23 tra i quali Cina, Russia e India, il Palazzo di Vetro ha adottato una risoluzione con la quale si apre i periodo di ratifica da parte dei Paesi.
Dopo il Trattato sull’interdizione degli esperimenti nucleari siglato nel 1996, la decisione dello scorso 2 aprile segna una tappa storica verso il disarmo e una maggiore regolamentazione del commercio di armi. Con questo Trattato, infatti, la vendita di armi convenzionali sarà vietata in caso di rischio di “utilizzo per raggirare un embargo internazionale, grave violazione dei diritti umani, o essere indirizzate verso organizzazioni criminali e terroristiche”. Non a caso, il Segretario Generale ONU Ban Ki Moon ha salutato questa risoluzione come “una tappa storica della diplomazia” che potrà dare “nuovo slancio ad altri sforzi di disarmo”.
Ora la palla passa ai Governi e ai Parlamenti nazionali: dal mese di giugno, essi dovranno ratificare il Trattato che entrerà in vigore con la firma di almeno 50 Paesi che, secondo le stime del capo negoziatore a New York Peter Woolcot, richiederà due anni di tempo per le procedure interne ai singoli Paesi. Un nuovo grande impegno per le organizzazioni non governative soprattutto di quegli Stati grandi esportatori di armi, Cina, Russia e India in testa, che a New York hanno fatto di tutto per impedire l’adozione del Trattato.
Per noi in Italia, questo grande successo al quale non poco ha contribuito la campagna “Control Arms”, fissa da oggi nuovi importanti obiettivi: chiedere al nuovo Governo e al Parlamento appena insediato di inserire tra le prime azioni questa priorità e al prossimo Ministro degli Affari Esteri di utilizzare l’azione diplomatica per il convincimento dei Paesi dichiaratisi contrari.
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