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WeWorld Index, l’Italia tra le peggiori performance del mondo
Presentata oggi la quarta edizione della ricerca dell'ong italiana che, con 17 indicatori rilevati in 171 Paesi del mondo, è l'unica del suo genere dedicata alle condizioni di donne, bambini e adolescenti in tutto il pianeta. "L'Italia passa dal 18mo posto del 2015 al 27mo attuale, mentre al top rimangono i Paesi del Nord Europa", spiega il responsabile Advocacy Stefano Piziali
È l’unico rapporto in circolazione che analizza ogni aspetto della vita di bambini, adolescenti e donne in 171 nazioni del mondo: esce oggi la quarta edizione del WeWorld Index, promosso dall’ong italiana WeWorld. “Stiamo parlando delle categorie più vulnerabili della popolazione, per questo meritano un rapporto dettagliato sulle loro condizioni”, sottolinea a Vita Stefano Piziali, responsabile Advocacy di WeWorld.
Sono ben 17 gli ambiti – dall’ambiente all’alimentazione, dal lavoro alla violenza familiare – analizzati dal rapporto. “Ci sono Paesi in cui donne e minorenni stanno bene, e sono quelli ai primi posti della classifica, soprattutto in Nord Europa”, spiega Piziali. Al primo posto, rispetto all’anno precedente, l’Islanda con 112 punti scalza la Norvegia, seguita da Svezia, Finlandia, Danimarca e, a sorpresa, la Slovenia. “In questa nazione, come in altre dell’Est Europa che recuperano posti in classifica, si inizia a fare sentire l’impatto dell’entrata nell’Unione Europea nell’aumento di qualità della vita e delle opportunità generali, compresi quindi donne e bambini”.
E L’Italia? “Con 59 punti è alla posizione numero 27, perde ben 9 posizioni rispetto al 2015 (passando dalla lista dei paesi con 'buona inclusione' a quella con 'sufficiente'), la performance peggiore tra i Paesi dell’Unione europea e tra le peggiori del G20, superata solo dal Messico, che perde addirittura 20 posizioni e dal Brasile che ne perde 17. La debacle è dovuta soprattutto “alle difficoltà che incontrano donne e bambini negli ambiti delle questioni ambientali, dei disastri naturali e dell’accesso al lavoro”, rileva Piziali. In coda alla classifica, con -146 punti, la Repubblica Centrafricana, preceduta in ordine crescente da altre nazioni africane: Ciad, Mali, Repubblica democratica del Congo, Niger e Sud Sudan, quest’ultimo entrato per la prima volta nell’Index dato che negli anni precedenti non si era potuto rilevare per l’alta instabilità del Paese. In allegato in coda all'articolo la sintesi dell'Index 2018, di cui riportiamo qui la classifica generale.
Il focus dell’edizione 2018 del WeWorld index ha riguardato l’accesso all’istruzione, con 5 indicatori o “barriere” su altrettante nazioni scelte per la loro specificità: la scarsa nutrizione (Kenya), le migrazioni interne (India), la questione del genere (Nepal), la violenza in famiglia e sociale (Brasile), la povertà educativa ereditaria (Italia). Partendo da quest’ultima, “è evidente il legame ereditario che c’è nell’accesso allo studio dei giovani italiani”, sottolinea il responsabile Advocacy di WeWorld. Un esempio: “per un figlio di genitori non laureati c’è l’8% di probabilità di laurearsi, percentuale che cresce al 68% per studenti con almeno un genitore laureato”. Ancora, “La dispersione arriva al 20% nei contesti più poveri, come per esempio in alcune zone del Sud come Sicilia, Campania o Sardegna, mentre la media nazionale si attesta al 13%. La condizione economica, quindi, incide molto sulla prospettiva educativa scolastica dei bambini”. Con “i maschi che sono più a rischio abbandono e le femmine che non vengono valorizzate per alcuni indirizzi scolastici come le scienze, la tecnologia e la matematica”.
Le altre barriere legate allo studio presentano situazioni altrettanto delicate: “in Kenya la denutrizione limita lo sviluppo cerebrale per almeno il 26% dei minori, mentre in Nepal i matrimoni precoci, fuorilegge ma comunque piaga ancora diffusa soprattutto nelle caste più basse, precludono l’accesso all’istruzione delle bambine”, continua Piziali. In Brasile “il 54% di vittime di violenza in strada sono giovani, mentre 4600 donne ogni anno denunciano violenze domestiche, un numero enorme se confrontato con i 120 casi dell’Italia. Questo si riflette anche nelle scuole dove la violenza è alta e le bambine sono trattate spesso male con un tasso di abbandono in continua crescita”. Infine, l’India e il fenomeno delle migrazioni climatiche: “circa 200 milioni di persone si spostano ogni anno per la siccità e quindi trovare lavoro agricolo in altre zone. Un terzo dei quali sono minori che spostandosi non riescono a frequentare regolarmente una scuola restando indietro nell’apprendimento, mentre chi rimane a casa con i nonni non riesce a essere seguito come si dovrebbe”.
Il WeWorld Index, pieno di indicazioni dettagliate, traccia anche possibili vie d’uscita ai problemi, riportando in particolare uno studio dell’Unesco che dimostra che “investire nell’istruzione paga: con un accesso generale alla scuola il numero di poveri nel mondo scenderebbe di 400 milioni di unità, passando da 780 milioni a 300”, riporta Piziali. Come? “Lo studio è una forte leva di sviluppo al pari dell’avanzamento economico. Non basta aumentare i valori dell’economia di un paese, come avviene nei Paesi Brics, per uscire dalla povertà. Serve lo sviluppo umano e sociale legato all’istruzione, che permette di aumentare il livello educativo della popolazione e quindi la possibilità di avere più strumenti una volta adulti per uscire dalla povertà”. Il richiamo è per tutti i Paesi, Italia compresa, che, nonostante negli ultimi anni abbia aumentato la spesa pubblica per l’istruzione, rimane sotto la media europea – 4% contro il 5% – “dove uno 0,1% in meno significa centinaia di milioni di euro che possono fare la differenza”, conclude il responsabile Advocacy di WeWorld.
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