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Haiti, la povertà si sconfigge con l’educazione

La forza dell'impegno salesiano nel mondo si vede ad Haiti, dove Padre Attilio Stra ha fondato LAKAY, un centro per aiutare i ragazzi di strada a coltivare un futuro: «molte organizzazioni tendono a trasmettere sapere, noi cerchiamo di lavorare sull’essere: essere persone, esserlo davvero, in un contesto di inenarrabile povertà»

di Marco Dotti

Ha lavorato in Italia, prima di trasferirsi per vent’anni in Vietnam. Poi dall’altra parte dell’emisfero: così, da 43 anni, Padre Attilio Stra, originario di Cuneo, è un punto di riferimento per le comunità di Haiti, dove lavora con i ragazzi di strada. Nel 1988, don Attilio ha preso un’iniziativa, fondamentale per il futuro di molti ragazzi: creare un servizio salesiano per i bambini e i giovani in difficoltà. è nato così LAKAY Don Bosco presso Port-au-Prince.

La situazione, in questi anni, ci racconta Padre Attilio, è cambiata molto. «Sono arrivato nel 1976, sotto la dittatura di Baby Doc: non c’era libertà politica, ma si viveva, La povertà era ancora dignitosa, la gente sorrideva. Nel 1986, ci fu la rivoluzione che, disgraziatamente, ha preso una direzione che ha aggravato la situazione economica di tutti. La classe dirigente haitiana si è corrotta, ed è peggiorata terribilmente».

Nel 2010 ci fu il grande terremoto. Padre Attilio ricorda quel periodo come «un’occasione da cui si poteva ripartire, perché ci fu tantissimo aiuto internazionale. Ma questo aiuto è stato mal diretto. Tantissime forze possono dare una grandissima forza, possono dare una grande forza o possono dare zero, nessuna forza. Tutto dipende dalla composizione delle forze e ad Haiti, questa composizione, è ridotta al suo grado zero. L’attenzione internazionale e tutti gli aiuti arrivati ad Haiti hanno prodotto conseguenze ancora più negative: attualmente il Paese si trova in una situazione indescrivibile, dal punto di vista sociale. Inflazione al 18%, povertà estrema, 65% di disoccupati, un Governo senza risorse per pagare gli impiegati statali… ».

A pagare il prezzo più alto sono ovviamente i più piccoli. Per questo è importante rimanere, lavorare, ricomporre ciò che gli eventi hanno sradicato. «Credo con tutto il mio cuore nel lavoro che facciamo ad Haiti, perché la riscossa di un Paese parte dall’educazione. Per questo tutti noi salesiani in Haiti ci stiamo impegnando nell’educazione. Non c’è futuro senza educazione. Siamo 70 salesiani, di cui 50 operativi: lavoriamo con i ragazzi di strada. Sono ragazzi abbandonati come cani senza guinzaglio. Noi vogliamo fare di loro dei cittadini, delle persone che possano avere uno sguardo diverso sulle cose e sul mondo, imparando».

LAKAY in haitiano significa “casa”. Padre Stra ci racconta che ha voluto dare questo nome «perché non crediamo orfanotrofi, ma una famiglia dove i giovani dai 14 ai 20 anni si trovano a casa loro partecipando alla vita, alle decisioni e, soprattutto, volontariamente e consapevolmente partecipano alla loro formazione». Un progetto di vita, un progetto «che costruiamo assieme».

Ma la grande difficoltà è fuori dalla casa. Non c’è lavoro ad Haiti. «Per questo cerchiamo di crearlo noi il lavoro: siamo educatori, formatori, cerchiamo di fare anche gli imprenditori per dare lavoro». A chi vuole aiutare, Padre Attilio chiede di «non portare cibo o pesce, ma know how, conoscenze che aiutino a creare lavoro. Di aiuti ne abbiamo molti, vanno tutti nel consumo. Ma poco arriva nell’impiego e nell’investimento». Anche la diaspora haitiana manda denaro, ma le rimesse – parliamo di più di un miliardo di dollari . finiscono nel circuito del consumo. Non fanno sistema e, senza sistema, l’infrastruttura sociale non regge.

«Con noi abbiamo cento ragazzi di strada. Ma solo cinque di loro hanno papà e mamma che vivono assieme. Non dico sposati, ma che vivono assieme. Questo significa che altri 95 ragazzi hanno padre e madre che non vivono assieme: questo spaccato dà un’idea della situazione sociale ad Haiti. Se manca la prima cellula sociale, una famiglia, come può la società svilupparsi in maniera positiva e favorevole? Per questo non dobbiamo trasmettere solo sapere, ma trasmettere un essere. Molte organizzazioni tendono a trasmettere sapere, noi cerchiamo di lavorare sull’essere: essere persone, esserlo davvero, in un contesto di inenarrabile povertà. Non trasmettiamo dei dogmi, ma dei valori evangelici. Solo così si può dar luce al futuro, senza schiacciarlo su un presente oscuro».

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