Comitato editoriale
Costretti a essere adulti a 18 anni. Le proposte dei care leavers
Presentato oggi a Roma lo studio "Una risposta ai care leavers: occupabilità e accesso ad un lavoro dignitoso" realizzato in dieci Paesi da Sos Children's Villages International con il London University College. Reti sociali, accompagnamento all'autonomia per sostenere e facilitare l'ingresso nel mondo del lavoro dei giovani che escono da percorsi di accoglienza
Cosa succede a 18 anni ai ragazzi cresciuti fuori dalla famiglia di origine? E in Italia si parla di 3mila neomaggiorenni che ogni anno sono obbligati a lasciare il sistema di accoglienza perché scade la tutela legata al loro status di minorenni e sono così costretti a diventare autonomi molto prima dei coetanei che – diversamente da loro – hanno potuto godere di riferimenti familiari stabili. A occuparsi del problema lo studio Una risposta ai care leavers: occupabilità e accesso ad un lavoro dignitoso curato a livello internazionale da Sos Children’s Villages International con il London University College e il cui approfondimento italiano è stato presentato da Sos Villaggi dei Bambini questa mattina, giovedì 25 maggio, nella sede dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, in occasione del Festival dello Sviluppo Sostenibile di Roma, organizzato da Asvis in concomitanza con la ratifica della Convenzione Onu per i Diritti dell’Infanzia (27 maggio).
«Purtroppo la presa in carico e la responsabilità del servizio pubblico cessa al compimento del 18° anno di età: si tratta, in pratica, di una transazione forzata verso l’età adulta che non tiene in nessun conto dei travagliati percorsi personali di questi ragazzi, oltre che della difficile situazione economica che sta colpendo soprattutto i giovani nel nostro Paese», dichiara Roberta Capella, Dg Sos Villaggi dei Bambini. «In Italia, ad oggi, oltre a non esistere una raccolta dati omogenea su questo fenomeno, non esiste neanche una normativa specifica che si occupi dell’accompagnamento all’autonomia dei maggiorenni in uscita dei percorsi di accoglienza: l’unica deroga a questa norma è l’applicazione di una disposizione (art. 25 R.D. 1404 risalente al 1934) che consente al Tribunale dei Minori di estendere, in alcuni casi, il sostegno e l’accompagnamento sociale fino al compimento del 21° anno di età. Questa misura non viene di fatto più applicata nella maggior parte dei territori per mancanza di fondi. Eppure non prevedere un graduale accompagnamento verso l’autonomia di questi ragazzi, che terminano la loro esperienza di vita presso una comunità di accoglienza, significa mettere a rischio tutto il lavoro fatto prima e le somme stanziate per seguirli durante l’infanzia e l’adolescenza che vengono così vanificate perché questa mancanza si trasforma in un ritorno dei ragazzi nei servizi sociali per adulti».
Ai giovani inseriti in strutture di accoglienza, il nostro ordinamento richiede di essere autonomi e indipendenti a 18 anni, molto prima dei loro coetanei che vivono in famiglia. In Italia, secondo gli ultimi dati Eurostat 2015, anche a causa della scarsa occupazione giovanile, la percentuale dei giovani, tra i 25 e i 34 anni che vivono ancora con i genitori è del 50,6% (era al 44% nel 2011), quasi 22 punti in più rispetto alla media europea (dietro solo alla Grecia con il 53,4%). In pratica, nel nostro Paese, i giovani non lasciano la famiglia di origine prima dei 30 anni.
Dunque, la richiesta fatta ai giovani care leavers non è assolutamente compatibile con la situazione vissuta dai ragazzi che hanno dovuto affrontare notevoli difficoltà nella loro vita e che spesso si trovano a dover anche recuperare un percorso scolastico difficoltoso e frammentario a causa dei traumi vissuti durante l’infanzia. L’indagine ha l’obiettivo di fare luce, per la prima volta, su quanti e quali ostacoli, allo stato dell’attuale legislazione, i care leavers siano costretti ad affrontare dal punto di vista, sociale, economico ed organizzativo per poter raggiungere indipendenza economica e stabilità lavorativa rispetto, ad esempio, ai loro coetanei che vivono in famiglia..
Gli ultimi dati disponibili, pubblicati dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e relativi all’anno 2012, parlano di 28.449 minorenni che vivono fuori famiglia in Italia, la metà dei quali in affido familiare mentre la restante metà in comunità di accoglienza o in case famiglia. Inoltre ogni anno, nel nostro Paese si investono oltre 500 milioni di euro per far fronte a tutte le spese relative al mantenimento e alla cura dei bambini e ragazzi che vivono presso le diverse comunità di accoglienza.
«Un’occasione importante di dialogo che vuole dare spazio alle domande e ai pensieri dei ragazzi cresciuti fuori famiglia che si proiettano al tempo del raggiungimento della maggiore età» afferma l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano. «L’indipendenza economica e lavorativa emerge come l’istanza più urgente per questi ragazzi che non possono contare sul sostegno familiare. L’ascolto dei ragazzi, anche in questa occasione, è lo strumento più importante per avvicinare il piano della enunciazione dei loro diritti con quello della loro applicazione pratica».
Venendo alla ricerca, molti degli esperti intervistati nel corso dell’indagine hanno parlato di “allenamento all’autonomia”, da costruire passo dopo passo, individuando e attivando le risorse personali di ciascuno ragazzo in modo da permettere loro di sperimentare responsabilità a livelli diversi. Anche a detta degli stessi care leavers la progettazione delle dimissioni dall’accoglienza residenziale dovrebbe prevedere delle differenti esperienze lavorative, tipo stage o tirocinio, ma anche di volontariato. Questo per permettere loro di sperimentarsi e mettersi in gioco gradualmente anche per comprendere interessi e attitudini personali.
Da parte sua Sos Villaggi dei Bambini ha già ideato delle progettualità specifiche che permettono ai giovani di fare le prime esperienze lavorative all’interno del Villaggio Sos o presso enti e imprese che collaborano in progetti sociali e di aiuto alle persone vulnerabili (vedi la Storiadi Michela qui).
Dall’esperienza dei care leavers emerge anche un’altra necessità: mantenere – una volta iniziato il processo di dismissione – quella rete di relazioni significative sviluppate negli anni con tutte quelle figure professionali e umane che hanno accompagnato i ragazzi durante la loro accoglienza nelle comunità (assistenti sociali, educatori, operatori, volontari): una vera e propria rete di sostegno pratica, morale e affettiva che non può essere interrotta bruscamente al compimento dei 18 anni. Una delle richieste dei care leavers è anche quella di poter inizialmente accedere a forme di supporto economico. Poter contare su un piccolo budget per l’uscita permetterebbe ai care leavers di far fronte alle spese inziali, ma anche di mantenere le relazioni con i coetanei e cominciare a occuparsi del proprio futuro.
Tra le richieste e necessità dei care leavers, emerse nella ricerca, Sos Villaggi dei Bambini ha ritenuto importante individuare oggi – in un momento storico-economico in cui tutti i giovani, indistintamente, si trovano a dover affrontare grosse difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro – percorsi che garantiscano pari opportunità” e che restituiscano, al contempo, un “diritto al futuro” alle nuove generazioni, rivolgendo particolare attenzione proprio ai ragazzi più fragili, vulnerabili e a rischio povertà.
Al momento, esistono, a livello locale e regionale, alcune misure che tutelano i neomaggiorenni che sono in procinto di uscire dai percorsi di accoglienza: è il caso, ad esempio, della Regione Sardegna, l’unica regione in Italia ad aver introdotto una legge regionale specifica che si rivolge ai giovani tra i 18 e i 25 anni in uscita dalle strutture residenziali di accoglienza.
Questa legge prevede la definizione di un progetto personalizzato, della durata massima di 3 anni, che coinvolga i care leavers coordinati dalla figura di un tutor di intermediazione sociale che abbia il compito di accompagnare il giovane nelle diverse fasi di avvicinamento all’autonomia. A questo programma, ad esempio, si affianca – grazie ad un protocollo d’intesa tra la Regione Sardegna e la Direzione Regionale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – la possibilità di effettuare un tirocinio atipico, ovvero un particolare tirocinio lavorativo dedicato proprio alla riabilitazione terapeutica o al reinserimento sociale dei ragazzi che escono dai percorsi di accoglienza.
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