Comitato editoriale
Cosa dicono i dati sugli aborti in Italia
Al convegno nazionale del Movimento per la Vita italiano presentata un’analisi della relazione sulla 194 e l’Ivg. Emerge un trend in diminuzione da dieci anni con alcune particolarità illustrate da Tony Persico, economista, esperto in statistica e volontario del Mpvi: «Emergono due tipologie distinte di aborto che richiedono da parte dei Centri di aiuto alla vita un approccio diverso nel sostegno alle donne che si rivolgono a noi»
I numeri non mentono, ma bisogna saperli leggere e interpretare. Da dieci anni il numero degli aborti in Italia è in diminuazione e a dirlo sono i dati della relazione sulla 194. Approfondendoli come ha fatto Tony Persico, economista esperto in statistica e volontario del Movimento per la Vita italiano, nel corso di un workshop al 42esimo convegno nazionale che si è tenuto a Isola della Femmine (Pa) nell’ultimo weekend, si possono scoprire non solo i trend, ma anche il profilo delle donne che ricorrono all’Ivg. «L’andamento degli ultimi dieci anni è costante, al netto del cambiamento in corso sul metodo che vede una diminuzione dell’aborto chirurgico rispetto a quello farmacologico con la Ru486 in crescita (i dati nella slide in basso) Ma a colpire è che in Italia i picchi anagrafici mostrano due tipologie distinte di donne che ricorrono all’aborto».
Nel 2010 in Italia si sono effettuati quasi 100mila Ivg contro le circa 60mila del 2020, a variare sono i picchi per classi di età, come spiega ancora Persico «i due picchi numerici delle interruzioni di gravidanza li abbiamo tra le giovani senza figli (20-24 anni) e tra le adulte (30-39) con già due figli. Ma se si approfondisce emerge un dato particolare: dieci anni fa il picco era tra le donne tra i 20 e 29 anni, dieci anni dopo è la stessa coorte anagrafica a segnare un picco». Cioè a mantenere una per così dire predisposizione sono le donne della stessa classe d’età? «Guardando le onde dei picchi a livello storico» spiega Persico «sembra che si tratti di fattori generazionali legati a una diversa cultura della contraccezione. È qualcosa su cui non si è ancora riflettuto. Da osservare è anche come le donne più giovani (20-29 anni) che ricorrono all’aborto sono per lo più senza figli, single, e in cerca di occupazione, mentre la classe superiore (30-39 anni) è composta da donne con due o più figli. Un altro dato da tenere presente è la crescita degli aborti tra le donne nubili, mentre diminuiscono tra quelle coniugate».
Tutte le slide sono state elaborate per il convegno del Mpvi
La presentazione di questi dati all’interno di un workshop al Convegno del Movimento per la Vita ha anche un obiettivo: fornire uno strumento di lettura del fenomeno per poter aiutare le donne che si rivolgono ai Centri di Aiuto alla Vita – Cav. «L’andamento del fenomeno ci fa capire», spiega Persico «quale tipo di supporto poter dare alle donne che si rivolgono a noi. Da una parte serve un supporto di tipo familiare e psicologico, mentre per le donne più adulte che hanno due o più figlie e che si rivolgono a noi i bisogni sono soprattutto di tipo economico e sociale. Come Cav occorrerà pensare a soluzioni diversificate perché i bisogni sono molto diversi in queste due tipologie».
La crescita degli aborti tra le single e l’aumento contemporaneo della modalità farmacologica che è in costante crescita – «andrà a sostituire quella chirurgica», chiosa Persico – ha anche un’ulteriore ricaduta: «Si va verso una tragedia solitaria e domestica. Il futuro dei prossimi dieci anni stando così i trend vedrà sempre più donne sole che in casa ricorrono alla Ru486 con un fattore di rischio psicologico molto più alto di sviluppare una sindrome post-aborto traumatica. L’unica nota positiva è che gli aborti sono in costante diminuzione».
Un altro dato che emerge dai dati è che il 93,5% degli aborti viene effettuato all’interno della regione di residenza e l’87% nella stessa provincia. Ma allora le recenti polemiche sul numero eccessivo di medici obiettori «a guardare questi dati nazionali non è giustificata, non siamo davanti a quello che negli Usa viene definito “undue burden”, cioè un ostacolo indebito».
In apertura photo by Dmitry Tulupov on Unsplash
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