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Carta Sociale, l’Europa ci boccia perché non considera il non profit

Il Consiglio d'Europa boccia l'Italia per la mancanza di reddito minimo, politiche per il lavoro, assistenza sociale e sanitaria. Ma Raffaella Pannuti è sorpresa: «Lo Stato non considera il non profit, così queste carenze sembrano più ampie di quello che sono in realtà. Serve più attenzione»

di Redazione

Una nuova “bocciatura” per l’Italia arriva dal Consiglio d’Europa, che ha presentato il suo rapporto di monitoraggio dell’attuazione della Carta Sociale Europea, negli anni 2008-2011. Si tratta di un documento firmato nel 1961 e poi aggiornato nel 1996, che raccoglie i principali diritti sociali garantiti ai cittadini europei per migliorare il loro livello di vita e promuovere il loro benessere.

Il Consiglio d’Europa di Strasburgo denuncia complessivamente 180 violazioni della Carta sociale europea, e per l’Italia in particolare punta il dito contro l’assenza di un reddito minimo garantito per tutti, pensioni minime troppo basse e carenze nell’assistenza sociale e sanitaria, politiche sulla sicurezza sul lavoro inappropriate, sostegni ai disoccupati insufficienti e discriminazioni basate sull’età e sull’appartenenza ad alcune minoranze etniche. Sul contrasto alla povertà e l’assenza di una misura di reddito minimo garantito, come sull’occupazione, non si può che prendere atto delle nostre mancanze. Ma le 50 pagine del documento fanno riferimento anche a violazioni degli articoli dall’11 al 14 della Carta, cioè il Diritto alla protezione della salute, Diritto alla sicurezza sociale, Diritto all’assistenza sociale e medica, Diritto ad usufruire di servizi sociali.

«In questo senso queste dichiarazioni mi hanno sorpreso», dice Raffaella Pannuti, presidente di Fondazione Ant Italia Onlus, la più grande organizzazione non profit in Italia ad occuparsi di assistenza sociosanitaria domiciliare gratuita per malati di tumore. «Non dico che non ci siano problemi, ma le risposte ai bisogni sociali e sanitari delle persone sono in crescita grazie alla vivacità del non profit. Il problema è che lo Stato è il primo a non accorgersi della vivacità di questo nostro mondo e quindi in primi a non comunicarlo adeguatamente. C’è una scarsa conoscenza e uno scarso interesse delle istituzioni verso il non profit, come dimostra la vicenda del 5 per mille, che a mio giudizio porta a una carenza dei servizi sovrastimata rispetto alla realtà».

Raffaella Pannuti fa anche due esempi concreti, presi dalla sua esperienza quotidiana: «Esistono zone di intervento del non profit non tracciate, che non emergono in alcun modo perché il pubblico non fa convenzioni con noi. Ant ad esempio non ha alcuna convenzione con il servizio sanitario in Toscana fatta eccezione per una piccola cosa a Prato, a Firenze seguiamo 200 persone che non sono in alcun modo visibili al pubblico, per loro sono dei “sofferenti fantasma”. A Modena al contrario ci hanno tolto la convenzione. Quel che succede a noi succederà a molte altre realtà non profit, per cui la carenza del servizio risulta agli occhi del pubblico distratto maggiore di quello che è nella realtà».

Il report di quest’anno è uscito, ma per il futuro, Pannuti chiede «più attenzione da parte delle istituzioni, che creino gli strumenti per una mappatura completa anche del welfare garantito dal non profit. Anche guardando al resto d’Europa, quello che abbiamo non è affatto da disprezzare. Ci serve però avere da parte dello Stato più attenzione, più coesione, più regole chiare che diano ali alla vitalità di questo settore, anziché ostacolarlo».