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Comitato addio, Consorti replica a Di Blasi

L'ex presidente del Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta replica al blog di Claudio Di Blasi. Voi da che parte state?

di Pierluigi Consorti

Ho avuto occasione di leggere l’interessante commento del dott. Claudio Di Blasi pubblicato su vita.it, relativo alla soppressione – causa “spending review” – degli organismi rappresentativi già insediati presso l’Ufficio nazionale per il servizio civile: la Consulta e il Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta (orribile acronimo: Dcnan). Quest’ultimo per la verità era già di fatto stato soppresso poiché, scaduto il 31 dicembre 2011, non era stato più rinnovato. Credo abbia ragione Di Blasi: non se ne sentiva la mancanza.

Tuttavia, avendolo presieduto per alcuni anni, avverto la responsabilità di essere (se non altro) con-causa della sua scarsa visibilità e, probabilmente, del suo sostanziale fallimento. Mi permetto perciò di svolgere un paio di precisazioni. Il Dott. Di Blasi stigmatizza il lavoro del Comitato in due righe: gli risulta che “abbia prodotto un documentino di 20 pagine, un paio di seminari ed un progetto di servizio civile sperimentale che ha coinvolto 4 o 5 volontari: davvero pochino, ne converrete”.
 
Gli sarebbe stato sufficiente un piccolo approfondimento.  Visitando il sito dell’Ufficio nazionale per il servizio civile avrebbe ricavato che il Comitato ha annualmente presentato, sin dal 2005, un programma di sviluppo di attività sia di ricerca sia di sperimentazione (sono queste le due linee di lavoro assegnategli), che per ragioni formalmente economiche, ma probabilmente sostanzialmente politiche, non sono mai state finanziate per intero. E’ stato quindi possibile sviluppare – parzialmente – solo alcune delle attività proposte. 
Non deve però passare sotto silenzio il fatto stesso che tali proposte erano il risultato di approfondite (ed animate)  discussioni fra rappresentanti istituzionali (Ministeri della difesa, esteri e interno; protezione civile, Regioni e Comuni), esponenti del mondo del volontariato e del servizio civile, nonché esperti del settore, soprattutto intorno alla fattibilità (sperimentazione) di forme disarmate e nonviolente di difesa della Patria. Un oggetto non proprio semplice in termini teorici, che ha rilevanti conseguenze pratiche in ordine alla gestione dei conflitti.
 
Il “documentino” di 20 pagine suppongo sia in realtà il primo documento istituzionale italiano che mette a fuoco il concetto di “difesa civile non armata e nonviolenta”, rappresentandone pro e contro, problematicità e vantaggi. Il rappresentante del Ministero della difesa era l’attuale Capo di stato maggiore… Certamente non siamo stati capaci di sviluppare un dibattito più largo, se è vero che persino gli esperti di servizio civile come il Dott. Di Blasi, forse perché non l’hanno letto o l’hanno letto di corsa, lo giudicano un “documentino” . Tuttavia la questione del rapporto fra Servizio civile nazionale  e difesa nonviolenta della Patria resta al centro dell’attenzione come un nodo non ancora risolto dell’attuale identità del servizio civile. Purtroppo il dibattito si è concentrato su questioni di maggiore interesse mediatico e pratico: come i nuovi “servizi civili regionali” o  la ripartizione dei fondi fra Stato e Regioni, col risultato di aver impoverito il confronto a slogan ripetitivi (quale l’eventuale  – costituzionalmente impossibile – obbligatorietà del servizio civile) che abbassano la qualità del sistema (meno ore e meno mesi di servizio).  Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il servizio civile nazionale è in affanno e si presenta privo di respiro. Qualche boccata di ossigeno (pochi fondi) lo tengono in vita, ma resta traballante.
 

Pierluigi Consorti
Tornando alla documentazione facilmente reperibile, desidero precisare che il Comitato, sulla scorta della preliminare riflessione cui ho appena accennato, ha anche lavorato alla predisposizione delle “Linee guida” per la formazione generale dei servizio civilisti, che sono diventate parte integrante del “programma formativo” sia dei formatori sia dei giovani in servizio. Ha inoltre steso un documento sui criteri di valutazione dei progetti sperimentali all’estero. Quest’ultimo atto va segnalato per la sua originalità: gli esperti del Comitato hanno infatti precisato i requisiti opportuni per garantire la sicurezza di chi opera senza armi all’estero, in contesti conflittuali anche violenti. Da anni sappiamo che la modalità armata di intervento all’estero è spesso (se non sempre) inadeguata. Tanti parlano di “interventi civili”: il Comitato li aveva predisposti connettendo esperienze già attive (ad esempio: l’Operazione Colomba) con un quadro di difesa nazionale anche militare, che risulta particolarmente innovativo. Tuttavia lavorare per la pace senza armi non è facile: ovvio che anche questo lavoro sia passato sotto silenzio. Di Blasi credo non abbia nemmeno cliccato sul relativo link. 
Tralasciando il resto, il risultato operativo più importante raggiunto dal Comitato è stato a mio avviso il “Progetto sperimentale di Dcnan all’estero”, ora in fase conclusiva. Purtroppo le disponibilità economiche – reperite proprio dagli avanzi di spese non fatte – hanno reso possibile l’approvazione di un solo progetto per soli 6 “volontari” (meglio poco che niente).  Il progetto è strettamente connesso all’applicazione delle modalità di difesa nonviolente in un contesto conflittuale di grado elevato. La sua preparazione è stata collaborativa e approfondita, avendo coinvolto tutti gli enti accreditati con progetti all’estero. La selezione del progetto migliore è stata severa e la formazione dei giovani partecipanti è stata intensa ed adeguata. Avremmo dovuto/voluto monitorare il progetto passo passo, valutarlo, verificarlo, correggerlo, approfondirlo. Sarebbe stata l’occasione di valorizzare un primo atto istituzionale nella direzione della Dcnan all’estero, ripetibile anche in contesti ad alta conflittualità in Italia. I giovani sono partiti ad ottobre, a dicembre il Comitato è scaduto. L’occasione è stata persa (mi auguro che qualcuno provvederà altrimenti).
 
In ogni caso il Dott. Di Blasi non sente la mancanza del Comitato, ed anch’io per la verità ho perso molto dell’entusiasmo iniziale. Ovviamente la sua cancellazione non è questione di soldi, ma di volontà politica e culturale. Investire nella ricerca per la pace costruita senza armi non appare una priorità politica. Per questa ragione il Servizio civile  nazionale, rimasto l’unica nicchia istituzionale che salvaguardava i valori originali dei primi obiettori di coscienza al servizio militare, è traghettato nell’ambito del Terzo settore e delle politiche giovanili e/o assistenziali.  In questo do ragione al Dott. Di Blasi: pochi hanno apprezzato il lavoro del Comitato e forse nessuno ne sentirà la mancanza. Tuttavia mi è parso ingeneroso e non convengo sul fatto che sia stato fatto pochino. Certamente, sono parte in causa: e quindi posso essere poco obiettivo. Ovviamente è sempre vero che si sarebbe potuto fare di più. Ma assicuro che è stato svolto un lavoro ingente e faticoso. Se qualcuno avesse la voglia di leggere i documenti prodotti (forse sono un po’ noiosi, per questo ci si ferma a contarne le pagine sorvolando sui contenuti) o di raccogliere i frutti prima che marciscano, troverebbe molti spunti per rivitalizzare il Servizio civile nazionale. Altrove, ad esempio in Francia e in Germania, o negli USA, ma anche in Argentina, Sud Africa e Nuova Zelanda, fioriscono esperienze significative dalle quali potremmo imparare e alle quali potremmo dare un contributo in termini di crescita. Ma forse manca un reale interesse a lavorare in questo senso. Speriamo che nessuno in futuro sia costretto a non avvertire la mancanza del servizio civile nazionale. Ogni volta che proporranno interventi armati all’estero o spiegamenti di polizia contro i manifestanti ci sorgerà il dubbio che avremmo potuto prevenire. Ogni volta che ci troveremo ad affrontare un conflitto con i soli strumenti dell’emergenza, saremo presi dal senso di colpa per non averci pensato per tempo. In prospettiva possiamo fare a meno del Comitato, ma non di una coerente ed efficiente cultura nonviolenta della gestione dei conflitti. 
Di questa assenza già sentiamo la mancanza. 


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