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Comitati cittadini, le nuove forme dell’aggregazione

di Redazione

Le istituzioni, i giornalisti, i cittadini o chiunque ha avuto la ventura di vedere e toccare con mano L’Aquila e il suo dramma parla di una città fantasma, una città morta. Non è vero. In questi mesi una voce a provato a prendere parola, e continua a crescere. Chi osserva con attenzione non può non far caso a quel timido sforzo di vitalità che esercitano i Comitati cittadini.
Una realtà nata dopo il 6 aprile, quasi spontanea sull’onda dell’entusiasmo giovanile. Dopo il sisma è stato proprio questo fermento, la voglia dei ragazzi, a prendere per mano genitori, zii, nonni e a trascinarli fuori dall’incubo, a superare lo shock e ricominciare. Un movimento accompagnato da speranza e voglia di ripartire. Sono nati sin da una settimana dopo il sisma cercando di spingere gli aquilani a scrollarsi di dosso la paura. Sono tanti oggi i comitati, talmente numerosi che non si riesce a contarli, 15 dice qualcuno, altri sono certi siano 20.
In troppi hanno bollato il fenomeno come l’ennesimo tentativo di risuscitare aggregazione in una sinistra disillusa dai propri rappresentati locali, una aggregazione poco seria e votata solo al partito del no. In pochi hanno provato ad ascoltare. La Protezione civile ha concesso loro una pagina sulla propria newsletter, gli enti locali nemmeno quella. Andrebbe curata e accudita questa nuova realtà di aggregazione sociale, forse l’unica del nuovo doloroso corso aquilano che prova a guardare al futuro.
La situazione è di estrema e diffusa debolezza. L’associazionismo e il volontariato locali sono disorientati, quello nazionale abbastanza assente, la Chiesa abbandonata dai tanti preti avuti in prestito da Sud America ed Est Europa, l’economia stroncata, i liberi professionisti emigrati sulla costa, gli agricoltori con i campi requisiti destinazione progetto C.a.s.e., e il resto della popolazione, quella che non è scappata ed è rimasta, si lascia sopravvivere nelle tendopoli. In questa cornice così estrema una scintilla di speranza va protetta e alimentata, in modo che prenda forza e spazio.
I Comitati sembrano essere questo luogo. I fili sociali andati in frantumi dei soggetti tradizionali sembrano riaggregarsi su nuove basi. Il terremoto ha sparigliato le carte. I comitati come il Lego hanno ricomposto il quadro con nuove regole e diversi equilibri. Era inevitabile che in mancanza di spazi comuni, di luoghi di lavoro e di centri si cercassero alternative.
Professionisti, attivisti di associazioni, artisti, registi, giornalisti, professori e studenti cercano un luogo nuovo per lavorare e ricominciare. C’è chi viene dalle Arci, chi dalle Acli, chi dal volontariato, architetti, ingegneri. Ognuno mette a disposizione la propria professionalità. Il fine si riassume nello slogan «100% ricostruzione, 100% trasparenza, 100% partecipazione» che lancia l’ultima delle tante campagne promosse. Per questo i comitati hanno ognuno un proprio indirizzo specifico, una propria natura e un proprio scopo. Ognuno diverso dagli altri. Ora cercano una forma di coordinamento, se supereranno anche questo scoglio? Merita attenzione la loro proposta, anche solo per il fatto che ad oggi è l’unica.

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