Volontariato

Come una buona idea si trasforma in buona prassi

Il caso scuola

di Maurizio Regosa

A Torino l’esempio di Fondazione Paideia e del progetto «Affido famiglia-famiglia». Un’idea scelta fra 243 proposte
e ora caposaldo della politica del Comune «Intermediazione filantropica». Alla Fondazione Paideia di Torino il loro compito lo definiscono così. Un’espressione che magari farà rabbrividire qualche fan della finanza “dura e pura” ma che invece nel sociale piace. E molto. Facile capire il perché: è un modo di interpretare il proprio mandato che sollecita un protagonismo nuovo, permette un coinvolgimento diverso da quello cui si è abituati, consente ed anzi favorisce l’innovazione. Scusate se è poco… Per questo a molti osservatori Paideia sembra un “caso scuola”, definizione che imbarazza un po’ il suo segretario generale, Fabrizio Serra, ma che in fondo gli fa piacere. «Ringrazio davvero. In fondo però noi non facciamo altro che metterci la faccia». E, aggiungiamo noi, le mani. Non limitandosi a erogare finanziamenti, ma spingendosi a gestire (almeno in parte) taluni servizi.
«I progetti che scegliamo di finanziare li facciamo nostri, ma definendo fin da principio un percorso e una strategia d’uscita», precisa Serra. In pratica già alla partenza si sforzano di immaginare le tappe grazie alle quali quei progetti potranno camminare con le loro gambe. E magari da buone idee potranno diventare buone prassi e, infine, politiche sociali. Come è accaduto con il progetto «Affido famiglia-famiglia». «Da anni ci occupiamo di sostegno alle famiglie con figli disabili, con un’ottica che mira a rinforzare le competenze di tutto il nucleo familiare e non semplicemente a risolvere un problema individuale o di gestione quotidiana», spiega il segretario. «Grazie a questa esperienza ci siamo sempre più convinti che, anche in un momento difficile, la famiglia è comunque una risorsa e come tale va valorizzata. Quando, all’interno di un concorso di idee che abbiamo lanciato per capire l’evoluzione dei bisogni, ci è stata presentata l’ipotesi dell’affido famiglia-famiglia, l’abbiamo colta». Così l’idea è stata scelta fra 243 proposte ed è stata trasformata in un progetto esecutivo.
«Abbiamo condotto una sperimentazione di due anni mettendo a disposizione un tutor che accompagnasse otto famiglie. Il progetto è andato bene e alla fine è diventato una politica del Comune di Torino. Attualmente lo stiamo testando a Ferrara e in altri territori». Un bel risultato che la dice lunga sul metodo della Paideia: cerca anzitutto di comprendere i bisogni (tramite la ricerca e con programmi di partecipazione che raccolgono il contributo anche creativo della collettività, come suggerisce il titolo di un’altra iniziativa, «La città che ascolta i bambini»). Raccolte le esigenze e le proposte, la fondazione entra in azione «fungendo da attore dello sviluppo del welfare locale, in ottica sempre sussidiaria, assumendosi responsabilità e condividendone altre». Dunque raccordandosi con i servizi territoriali e con partner diversi.
L’affido famiglia-famiglia è un caso esemplare: «Ora lo stiamo sperimentando in altre città, senza replicarlo in modo piatto ma dopo averlo ricontestualizzato con l’ausilio dei partner di quei territori». Paideia mette il know how e le competenze, le altre realtà offrono la conoscenza specifica, le relazioni e le risorse. «Nasce così un’alleanza strategica che consente di condividere iniziative di successo ridisegnate su misura delle esigenze locali».


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