Fra le fortune che la vita mi ha concesso, la più grande è senza dubbio quella di mia figlia. Attraverso i suoi occhi vedo cose che non vedevo più da chissà quanto, anche se le guardo ogni giorno da anni, decenni.
Le piace disegnare: su fogli e quaderni, su tavolette magnetiche…anche sul frigo, su pareti e muri vari (nonostante le reprimenda). Le piace, anche, farmi disegnare ciò che vuole. Ad esempio i gelati, di cui è bella ghiotta.
Le mie capacità artistiche sono a dir poco limitate. Ma ci provo. Lei mi dice sempre “che bravo!” e non ho ancora capito se lo dice perché lo pensa o perché si diverte a prendermi in giro. Forse tutt’e due.
Quando mi chiede di fare un gelato, più o meno parto da una forma a piramide, pseudo-triangolare, ma rovesciata: la punta in basso, la base in alto. Poi comincio a fare delle linee che un po’ provano a intrecciarsi, a volte sono orizzontali e verticali, a volte oblique. Cerco di riprodurre i disegni del classico cono, alla buona.
Una volta me n’è uscita una, di linea, la prima dopo la piramide, che tagliava il cono circa a metà. Ho pensato: “L’ho fatta troppo in alto, troppo dritta, ora cancello (sul magnetico è facile) e rifaccio”. Ma lei, quasi mi avesse letto nel pensiero, esclama con stupore, che mi pareva stavolta sincero, e con un meraviglioso sorriso disegnato in volto: “Sembra una A rovesciata!”.
Ci metto un po’ a capire. Guardo. Poi vedo. Ha ragione, sembra una A rovesciata! Lei conosce la A perché è curiosa e sta cominciando a riconoscere le prime lettere, specie quelle del suo nome, che mi chiede di scriverle mille volte (e io glielo scriverei anche diecimila).
Per qualche momento mi blocco, la guardo: come ho fatto a non vedere mai una A rovesciata in quel cono o presunto tale che provo a disegnare? Non lo so…
Immediatamente ho visto che quel piccolo esserino di fianco a me, anzi, in braccio a me, è in realtà un gigante che mi porta in spalla a spasso per un mondo che non so più vedere. Ho capito che devo smetterla di preoccuparmi di cosa potrò mai insegnarle di buono. O, meglio, non devo preoccuparmi così tanto. E devo invece pensare a quello che posso imparare da lei. Ad esempio questo: vedere le A rovesciate che mi passano davanti ogni giorno e imparare a stupirmene.
La faccio breve: credo che se vogliamo cambiare il modello economico-produttivo in cui stiamo annegando, perché irrimediabilmente e insopportabilmente e irresponsabilmente insostenibile, dobbiamo cominciare a vedere le A rovesciate, a cercarle, a costruirle dove non ci sono. A guardare dall’altra parte, dalla parte opposta, a quello che facciamo. Come imprese, organizzazioni, ma anche come persone. Penso che solo così avremo una speranza. Impariamo dai bambini, che vivono in un mondo di A rovesciate.
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