Espandendosi oltre i settori tradizionali e oltre le forme giuridiche consolidate cambiano anche le strutture di supporto dell’impresa sociale. Ma forse è vero pure il contrario. Si moltiplicano infatti i laboratori dove si sperimentano le formule più diverse di imprenditoria sociale (ne uscirà qualche frankenstein, ma fa parte del gioco). Sarebbe davvero un bell’oggetto di ricerca: consorzi, incubatori, hub, creative labs, agenzie e quant’altro. Al di là delle denominazioni (dove abbonda il nominalismo) e del carattere più o meno “cool” dell’iniziativa, un bel discrimine riguarda la natura del supporto che viene fornito. Fino a poco tempo fa funzionavano molto i “servizi reali”: sedi, tecnologia, consulenza, strumenti (business plan, bilancio sociale, ecc.), oppure le partnership per il business come i progetti “di sistema” stile Equal e il general contractor su grossi appalti. Insomma si è puntato molto, forse troppo, sull’hardware dell’impresa. Tanto che oggi molte strutture di supporto di lunga data stanno lentamente dismettendo queste funzioni e avviando lunghe (e dolorose) riconversioni. Verso dove? Direi in due direzioni. Da una parte verso i sistemi di relazione “primaria” intorno ai quali prendono forma le progettualità di impresa sociale. Ed ecco quindi i richiami a collaborazioni più dirette e “calde” tra imprenditori sociali e tra questi e il loro ambiente di riferimento (le comunità territoriali). L’altro percorso punta invece sulla creazione di connessioni e scambi più stabili (reti di reti) con gli attori del mondo dell’impresa, della conoscenza, della politica. Passaggi non semplici. Forse qualche pratica in più di cross-fertilization non farebbe male.
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