Welfare
Come si progetta cohousing?
A spiegarlo l'architetto Gianni Dapri, associato dello studio Oau - Officina di architettura e urbanistica, ricercatore del Politecnico e tra i relatori di Experimentdays, la fiera dell'abitare collaborativo
«Siamo uno studio professionale che arriva dalla tradizione. Lavoravamo per le amministrazioni pubbliche e facevamo progettazione architettonica di medio livello».
Così Gianni Dapri, architetto dello studio Oau – Officina di architettura e urbanistica comincia a raccontare come sia cambiato il suo lavoro e il perché del suo protagonismo a Experimentdays, la fiera dell’abitare collaborativo. Dapri, ospite domani sera al Cohausing Drinks di Milano (un ciclo di appuntamenti in preparazione della fiera – qui la pagina dell’evento su Facebook ) continua: «La crisi economica ha segnato uno spartiacque profondo. Tutto il 900 finisce con le scatole di Lehmann Brothers. Anche per il settore edilizio non è stato diverso. Ha perso 300mila addetti in tutta Italia. Significa che la crisi economica aveva come componente importante la bolla edilizia. Abbiamo prodotto oltre ogni misura e bisogno. Gli edifici assomigliavano molto ai bond e ai titoli tossici. È stato un cambio epocale che ha costretto chi faceva il nostro mestiere a rivalutare la nostra posizione. Ci siamo dovuti la domanda più importante: che cosa possiamo fare oggi? Abbiamo trovato una sola risposta: l’edilizia sociale».
Cominciamo da qui: cosa s’intende per edilizia sociale?
Per edilizia sociale s’intende un campo largo di prodotti edilizi che comprendono l’affitto sociale, che sono poi le case popolari nelle loro forme più varie, le convenzionate che sono prodotte da cooperative o altri soggetti che si occupano di affitti calmierati o vendono a prezzi concordati con i comuni e infine ci sono gli edifici venduti a prezzi inferiori di mercato concordati tra comuni e operatori. Queste forme permettono di coprire diversi bisogni sociali che non trovano risposta. Sia cioè dando una casa a chi è sotto la soglia di povertà che al mondo giovanile e alla classe media gche è scivolata fuori dal mercato del mattone. Progettare in questo settore è stato per noi un reinventarsi.
Voi però non fate edilzia sociale tradizionale…
C’è un modo tradizionale di produrre edilizia sociale che è quello del mondo cooperativo. E poi ci sono le case popolari. Entrambe le opzioni hannpo problemi per cui bisognava trovare soluzioni. Nel caso dell’edilizia cooperativa spesso gli edifici costruiti erano condomini privati a basso costo, con tutti i problemi dell’edilizia tradizionale. E con una lacuna importante: non costruiscono società. Danno vita a conglomerati anonimi senza relazioni e parti aggregative. Le case popolari invece spesso diventano teatro di disgregazione sociale. Questi luoghi vengono spesso usati per riversare tutte i problemi sociali delle città senza essere governati.
Qual è la soluzione?
Un’edilizia sociale che deve avere degli spazi e fornire modi agli abitanti per stare insieme e produrre in autonomia forme di welfare.
Come si fa?
Si chiama cohousing. E significa trovare e mettere a disposizione di tutti elementi che permettano di risparmiare e di costruire comunità.
Può fare un esempio?
Se siamo un edificio in cui manca una stanza per i bambini ci si organizza per trovare un modo per organizzarsi. E allora si scopre che nello stesso edificio però c’è l’attrezzatura a dispozione per fare coworking. Così mentre si lavora in loco qualcuno dei condomini può mettere a disposizione casa per i bimbi. Se poi c’è anche uno spazio per fare magazzino si può costituire un gruppo di acquisto solidale del condominio. E così bambini, lavoro e risparmio.
Ma per queste cose non serve l’architettura…
Certo. Il cohousing però nasce con questo spirito collaborativo, permette di costruire relazioni e rapporti che diventano un elemento qualitativo all’interno del contesto urbano. Si produce un pezzo di comunità attiva. Per capire quanto possa essere importante basti pensare quanto si parla bene delle nostre periferie rispetto a quelle inglese e francesi che invece di essere aggregate a nuclei storici sono new town. La differenza sta proprio in luoghi come la parrocchia, la scuola e il rapporto di questi elementi con il territorio. La differenza la fa la comunità.
E qual è il ruolo dell’architetto allora?
Dal punto di vista progettuale si tratta di un passaggio culturale. C’è un pericolo di banalizzazione, e cioè di fare un condominio per ricchi. Quindi palazzi in cui si mettono piscine, saune, cinema e tanto altro. L’architetto serve prima di tutto per preservare l’intenzione. E ha come prima regola la partecipazione: il cohousing deve essere sempre partecipato anche nella progettazione. Non costruisci un edificio in cui metti gli abitanti. Ma individui un gruppo di abitanti attorno cui costruisci il palazzo, partendo dai loro imput, suggerimenti e aspirazioni. Anche quelle piccolo borghesi come il soggiorno bello.
Quindi non esistono specifiche tecniche particolari?
No. Tutto è definito sulla specifica comunità che progetta e partecipa. Ogni edificio è nuovo e diverso. Il punto sono l’intenzione e il processo. A questo si aggiungono naturalmente elementi collaborativi. Piscina e palestra non sono collaborative. Il coworking e la gestione dei bambini invece si. Questi naturalmente saranno cose da tenere bene a mente in fase di progetto.
Costruite sempre ex novo?
L’identificazione del luogo è importante. Dove andare ad abitare è dirimente. Spesso si tende a valorizzare qualcosa che già c’è, anche se costa di più.
Fate parte dei partner di Experimentdays. Perché è un evento così importante per voi?
Perché individuare i punti di produzione del dibattito pubblico intorno ai temi dell’innovazione della città è essenziale. In questo momento non c’è dibattito su questi temi, è una fase storica di una sterilità incredibile. Ogni momento che permette un confronto oggi è estremamente prezioso.
Per tutte le info su ExperimentDays clicca qui. In allegato il programma di ExperimentDays
In preparazione dell’evento il 17 maggio in via Pellegrino Rossi a Milano ci sarà “Cohousing Drinks” il primo di una serie di aperitivi a tema. In allegato la locandina dell’evento.
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