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Come sarà il dopo Genova
Genova ci ha regalato un vero grande: il padre di Carlo Giuliani
C?è un personaggio che vorremmo prendere ad emblema delle giornate genovesi. Ancora una volta è un padre, ancora una volta un padre che piange la morte, anzi l?uccisione, di suo figlio. Dobbiamo essere grati a Giuliano Giuliani per come ha saputo ribaltare un?esperienza personale di immenso dolore in un messaggio di vita. Nelle dichiarazioni pubbliche ha avuto parole di pietà vera per chi gli ha ucciso il figlio. Ha chiesto a tutti tolleranza. Ha ricordato il motivo per cui quel suo ragazzo era sceso in piazza: «Papà, noi dobbiamo aiutare i poveri, i deboli, mi ripeteva». Già: i poveri, i deboli. Avrebbero dovuto essere loro la questione centrale del G8 genovese. Mesi di battaglie, di pressioni sociali, di dibattiti, di interventi di grandi personalità sui giornali, avevano creato in tanti la consapevolezza che la questione della povertà di qualche miliardo di persone fosse una questione moralmente improcrastinabile. Sono stati mesi di lavoro paziente, in cui è cresciuta una coscienza diffusa per tanti versi sorprendente. Un vero patrimonio morale, fatto di attenzione agli altri, di intelligenza, di impegno paziente e concreto.
A Genova sappiamo com?è andata. C?è rammarico, perché tre giorni così hanno rischiato di distruggere il patrimonio di consenso e di simpatia che quel movimento s?era conquistato negli ultimi mesi. Ma la passione per la realtà che è nel dna di questo giornale impone una lettura un po? diversa di quei fatti.
A Genova sono successe cose di drammatica gravità. Ma a parte la morte del povero Carlo Giuliani, la gravità non sta nelle macchine bruciate, nelle vetrine infrante, nei selciati divelti. I segni di quelle ferite il nostro mondo ricco e pacificato li cancellerà presto, come tempestivamente Berlusconi si è premurato di comunicare a tutti. Ben altre ferite invece si sono aperte per le decisioni che sullo sfondo (per loro provvidenziale) degli scontri di piazza, gli otto grandi della Terra si sono ben guardati dal prendere. Quelle mancate decisioni costano milioni di vite: ad esempio quelle sacrificate sull?altare del debito. Sulla remissione del debito infatti non è stato fatto nessun passo avanti rispetto a Colonia 1999 e oggi, per esempio, i 23 paesi beneficiari del progetto di parziale remissione, pagano in interessi più di quanto hanno in bilancio per le spese sanitarie. Contro l?Aids, che in Africa sta provocando forse il più grande cataclisma della storia dell?umanità, gli otto grandi hanno deciso di costituire un fondo la cui entità corrisponde a quanto quegli stessi paesi pagano, in poche settimane, per gli interessi e i servizi sul debito. Questo è stato il vero grande dramma che si è consumato a Genova.
È una percezione che, al di là del folklore dominante sui media, è cresciuta in tanti che erano a Genova. Come testimonia quanto scrive Riccardo Bagnato, sul sito di Vita (cliccato a livelli record in queste settimane): «Sembra che non riusciamo, o almeno io non riesco, a soffrire quando leggendo le notizie del sud del mondo o ascoltando i racconti di chi ci vive, apprendiamo che a San Paolo del Brasile, in un villaggio del Burundi o in un?altra regione del pianeta avvengono ogni giorno violenze ben peggiori. È normale. Solo l?esperienza diretta ci scuote. Eppure in Palestina, in Sierra Leone è ciò che succede quotidianamente. Benvenuti nella realtà». Eravamo a Genova per difendere miliardi di deboli e di poveri. Se loro hanno perso, quella è la vera nostra sconfitta. Ma la coscienza che il loro destino non ci può più essere estraneo è una speranza anche contro quella sconfitta. Come ha testimoniato ancora il papà di Carlo Giuliani decidendo di destinare i fondi raccolti in memoria di suo figlio all?aiuto del Terzo Mondo. Un piccolo gesto, ma che è una grande sfida all?irresponsabilità di quegli otto grandi.
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