Salute

Come riformare le Rsa dopo la pandemia

Con il PNRR si apre una grande possibilità: ripensare e riorganizzare le residenze per anziani

di Silvio Minnetti

Chiediamoci se esistono per diversi di loro soluzioni alternative alle RSA. Possiamo immaginare condomini solidali dove la solitudine non è di casa? Dobbiamo capire le prospettive di cambiamento, le piste di lavoro per le residenze del futuro attraverso i nodi che erano in parte visibili anche prima della pandemia. Queste strutture sono cresciute molto negli ultimi venti anni in Italia per iniziativa dei privati, attraverso anche multinazionali dell’assistenza alla terza età. Il settore tuttavia è sottodimensionato rispetto ad altri Stati europei. Abbiamo 280 mila posti letto rispetto ai 720 mila della Francia e 870 mila della Germania. Enormi sono inoltre le differenze di standard tra una regione e l’altra. L'assistenza agli anziani non autosufficienti era in crisi prima della pandemia a causa di criticità in un sistema complesso. C'è una crisi di affidabilità delle strutture. Vengono ricoverate persone più tardi possibile in condizioni di grave vulnerabilità.

Il calo dei ricoverati dopo Covid 19 ha determinato problemi economici. Mancano infermieri, emigrati verso strutture sanitarie più affidabili. I protocolli severi creano una eccessiva rigidità che non lascia spazio per soluzioni più aperte a moduli residenziali diversi. È in crisi il modello organizzativo. Le RSA sembrano tanti piccoli ospedali, sempre meno "casa" per gli ospiti. Ci sono anziani con un certo grado di autonomia che starebbero meglio in mini alloggi, piccole comunità residenziali, soluzioni in co- housing con la rete del welfare generativo. La persona anziana non può stare nella sua casa ma non si troverebbe bene in una istituzione assistenziale totale. Godrebbe in soluzioni alternative di spazi "familiari" e di rapporti con il territorio attraverso gli Enti del Terzo settore. In situazione di parziale autosufficienza servono soluzioni di piccola dimensione. Occorre dividere il monolite RSA in moduli differenziati con prevalenza di assistenza sanitaria o di apertura al territorio. Occorre quindi combinare servizi domiciliari con residenze attraverso moduli differenziati per piani personalizzati. Ci sono situazioni di demenza, di famiglie che non sono in grado di aiutare, di mancanza di collaboratrici familiari. Il Pnrr stanzia 4 miliardi per l'assistenza domiciliare (ADI). 300 milioni sono previsti per Gruppi appartamento, soluzione che avvia una deistituzionalizzazione. Bisogna combinare la presenza di infermieri, operatori sociosanitari e personale dei Servizi sociali dei Comuni. Ciò non significa rinunciare a istituzioni o a cure domiciliari. Dobbiamo in ogni caso potenziare il sistema delle cure a casa con rete di associazioni di volontariato per interazioni con il territorio. Possiamo vedere residenze e case come luoghi di cura in una dinamica di collaborazione tra domicilio e nuove tipologie di residenze più piccole.

Questa evoluzione si sta realizzando nel quadro di una assistenza primaria dei servizi sanitari territoriali ancora incompiuta. Ci sono gravi limiti dell’assistenza di base, in particolare per quanto riguarda i medici. I servizi sanitari territoriali e la medicina di base sono in crisi da diversi anni. Il fenomeno è risultato chiaro a tutti in pandemia. Si è andati avanti con il modello del libero professionista singolo senza considerare il mutamento sociale e la forte evoluzione della tecnologia. È mancata una riforma negli ultimi trent'anni.

Ora il Pnrr prevede 2 miliardi nelle Case di comunità, in cui dovrebbero lavorare in team medici di medicina generale, specialisti, pediatri, infermieri, riabilitatori secondo il modello "perno e raggi" per ogni mille abitanti. Nel frattempo le Case della salute proposte dalla Ministra Turco nel 2007, le Unità complesse di cure primarie, Ucpp, lanciate dal Ministro Balduzzi nel 2012 non sono decollate. I medici di base saranno sollecitati a lavorare in parte nelle Case di Comunità? Prossimità e comunità passano per accordi da trovare tra Stato, Regioni e Medici di medicina generale. Non servono forzature ma piccoli passi in avanti. L'assistenza primaria non si occupa dei problemi specialistici del paziente ma della sua salute in generale tenendo conto di storia personale e psicologia. Il medico di famiglia gestisce la salute ed acquista le prestazioni per conto del paziente. L’assistenza primaria è essenziale e universale ed assorbe con circa 94 mila medici, in rapporto semi-libero professionale, oltre metà della spesa del SSN.

Gli anziani hanno bisogno di trovare in prossimità o con prestazioni a domicilio, i servizi delle case della comunità, strutture polivalenti in cui sono attivi medici di cure primarie, specialisti ambulatoriali, infermieri, tecnici di riabilitazione e di prevenzione, amministrativi, radiologia, laboratorio di analisi, CUP 24 ore su 24 per 7 giorni. Abbiamo in Italia già quasi 500 Case della salute in 13 regioni, soprattutto in Emilia Romagna, Toscana, Veneto ma possiamo dire che, in assenza di un nuovo accordo con Medici di medicina generale, esse non sono effettivamente decollate. Prevale ancora l’assistenza primaria in forma singola con un terzo di medici che lavorano da soli per un massimo di sei ore al giorno. Da qui il ricorso eccessivo ai Pronti soccorso in caso di bisogno urgente. Occorre rendere obbligatoria l'associazione semplice tra MMG per garantire l'apertura almeno 12 ore al giorno per 5 giorni, dalle 8 alle 20, con attrezzatura diagnostica adeguata come ECG, ecografia, autoanalizzatore. Le Case della Comunità poi dovrebbero essere collegate a specialisti esterni convenzionati, sia pure privati, al servizio anche di anziani in cohousing con visite domiciliari. I MMG dovrebbero infine lavorare in associazione con specialisti, per alcune ore in CdC accreditate. I finanziamenti del Pnrr con le 1288 CdC previste, potrebbero rappresentare una opportunità importante per il sistema integrato dei servizi alle persone, anche quelle che vivono in famiglia, in piccole strutture di condominio solidale o in RSA, nei casi più difficili da gestire in autonomia. Sarebbe un vero cambiamento con la necessaria figura dell’infermiere di famiglia e di comunità in una medicina di prossimità.

Non mancano le esperienze-pilota verso queste nuove organizzazioni in Italia. A Lucca è attivo il cohousing del Moro. Un progetto residenziale per over 60 autosufficienti con 13 soluzioni abitative differenziate e zone comuni per incontri culturali, feste, scambio di libri, ricca rete assistenziale. È una soluzione innovativa che risponde alle domande del territorio promuovendo l’invecchiamento attivo. Si tratta di anziani che vivevano soli in appartamenti troppo grandi o con figli che hanno avuto nuove esigenze abitative con la loro prole e che ora vanno a trovarli. Altri hanno preferito rimanere nella loro città quando i figli si sono trasferiti fuori regione per lavoro. Qui hanno trovato amici, compagnia bella e assistenza con personale qualificato., Non mancavano gite, laboratori con associazioni di volontariato, incontri culturali prima del Covid 19. Pagando l'affitto per la casa si trova compagnia e stimoli culturali. Importante lo scambio con i giovani del servizio civile. La sapienza degli anziani e la vita dei ventenni si incontrano. Le città devono diventare inclusive ed accoglienti perché la ricchezza degli anziani è un tesoro da proteggere e valorizzare. Va mantenuta il più possibile una propria vita autonoma con nuovi modelli di cura.

In questa prospettiva, è nato a luglio il Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza, promosso dal Forum disuguaglianze e diversità e da Cittadinanzattiva. Si rivolge al Parlamento, ai Ministri della Salute e del Lavoro, ad associazioni, sindacati e politica insieme, per una grande riforma anche con le risorse del Pnrr per i più fragili. Parliamo di tre miliardi e mezzo di euro per tre milioni di anziani non autosufficienti, il 5 per cento della popolazione, il cui numero è destinato a raddoppiare entro il 2030. Al Patto finora hanno deciso di collaborare 37 realtà della società civile. Cristiano Gori, Coordinatore del "Network Non autosufficienza "invita ad un approccio unitario per superare la frammentazione. Claudia Fiaschi, già Portavoce del Terzo settore ritiene urgente umanizzare la cura mediante la collaborazione di associazioni ed istituzioni. Non possiamo sprecare risorse visto l’aumento dell’invecchiamento. Anche il sistema sanitario rischia senza un piano Marshall. Ci sono centinaia di nuovi ospedali e presidi territoriali da costruire. Sono da assumere migliaia di infermieri e medici. Ma ammodernare il sistema vuol dire trasformarlo profondamente. Le strutture troppo piccole andranno accorpate e messe in grado di servire la comunità e di curare anche pazienti con malattie serie e croniche. Il futuro infine esige un serio piano di assistenza a domicilio. La vasta rete del Network per la non autosufficienza ha in questi giorni prodotto il "Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza", per mettere a terra le risorse del PNRR. Finalmente un progetto concreto per una nuova assistenza domiciliare, denominato "Piano nazionale per una domiciliarità integrata per gli anziani non autosufficienti", in vista del Bilancio 2022.

Il documento propone il superamento della divisione tra Adi delle Asur e Sad dei Comuni con un giusto mix di prestazioni: servizi medico- infermieristico- riabilitativi, sostegno alla vita quotidiana, supporto a familiari e collaboratrici, per il tempo necessario. I Ministeri del Welfare e della Salute sovraintendono con una Cabina di regia nazionale.

A livello operativo si punta a Progetti personalizzati integrati per focalizzare gli interventi su reale situazione della persona e delle famiglie.

*Coordinatore di Alfa -Terzo settore, Comune di Macerata, collaboratore Citesec- Unimc

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