Come quelle scritte sbiadite

di Gianfranco Marocchi

C’è poco da fare, il tour che sto facendo nelle regioni del Mezzogiorno per l’Happening della solidarietà, anche se è una fatica immane, mi mette di buon umore. 15 giorni fa ero a Lamezia in mezzo a giovani che erano riusciti a fare impresa in mezzo a mille difficoltà (social self made young man, dovremo inventarla questa etichetta), tra un’ora inizio l’Happening di Salerno, un’altra immersione tra cooperatori, ragazzi e tanti amici vecchi e nuovi. E così questa volta non mi arrabbio per quella pubblicità, mi viene quasi da sorridere.

Aveva iniziato Darty, catena di store di elettrodomestici e prodotti elettronici. Insomma televisioni, ferri da stiro, frigoriferi, videocamere, lavatrici, hi-fi, e molto altro. Da anni basano la loro pubblicità sul convincerci che tutti questi oggetti siano un “diritto” (“Avere uno smartphone è un tuo diritto!”). Insomma, libertà di parola o di religione e forno microonde, diritto a non essere torturati o ridotti in schiavitù e macro televisore a schermo piatto, diritto al lavoro e alla giusta retribuzione e aspirapolveri sono più o meno sullo stesso piano. Quindi, verrebbe da dire, interscambiabili. Dunque avere un po’ meno di informazione e un po’ più di lavastoviglie, un po’ meno lavoro ma un po’ più console, in fondo sono scambi alla pari.

Quelle pubblicità, quando avevo iniziato a vederle, le avevo prese proprio male e anche se al Darty di Torino ci passo davanti spesso e la tecnologia mi intriga, non comprerei da loro nemmeno un mouse, così per principio; avevo scritto un post sul mio blog personale tanto per combattere questo degrado dei tempi  (pur senza sapere se grazie a questa mia presa di posizione i tempi avrebbero deciso di cambiare).

Ieri sera sull’aereo avevo per tutto il viaggio sullo schienale della poltrona davanti la pubblicità di un autonoleggio Europecar che – in realtà riprendendo lo spot di una delle auto messe a disposizione – affermava che “Il lusso è un diritto”. Ce ne sarebbe da scrivere per un post intero sull’idiozia di questa affermazione, ma penso che un lettore di Vita già sia sufficientemente sensibilizzato.


Ma, come vi dicevo, viaggiare verso gli happening mi mette di buon umore, vedo le cose in una luce diversa. E così questo spot – ho controllato, l’originale risale al luglio 2011, concepito quindi poco prima di quella caldissima estate in cui gli italiani iniziarono a sostituire lo spread alla formazione della squadra di calcio come argomento di cui dissertare come esperti al mattino a bar – mi è sembrato come una di quelle scritte sbiadite.

A me – politicamente e visceralmente disgustato da ogni fascismo – quando salendo per una strada di montagna vedo quelle scritte “Credere Obbedire Combattere” “Nel segno del Littorio vinceremo” mal cancellate sui muri mi viene quasi tenerezza. Non verso i criminali che le concepivano, ma verso gli italiani che se le bevevano e ascoltavano rapiti alla radio il discorso del sabato. Oggi sono ancora li, sbiadite, appunto; chissà con cosa le scrivevano, mani e mani di vernice non riescono proprio a cancellarle nemmeno dopo 80 anni, sono destinate evidentemente a permanere come simbolo e monito della stupidità umana.

E così quello spot, visto oggi, a solo un anno e mezzo scarso dalla sua diffusione. “Il lusso è un diritto”, prima ancora che distanza morale, suscita naturale e prorompente (e sano) insulto, ma dopo averceli lì mandati, la stessa tenerezza di quelle scritte sbiadite. Un mondo sepolto, archeologico, da guardare dicendosi quanto siamo stati immensamente idioti.

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