Welfare

Come non farsi sconfiggere da quel sentimento di resa

Intervista a Vilma Mazzocco, lucana, leader di Federsolidarietà

di Giuseppe Frangi

Che è il sentimento dominante. Eppure ci sono casi che indicano quale strada prendere. Come quella società ipertecnologica con sede in un paesino lucano Vilma Mazzocco risponde al telefono da Potenza, “casa” sua. Ha la voce contenta di chi sta bene tra quelle mura e a quella scrivania. Si capisce al volo che le piace da morire il suo Sud. Anche se la vita e l’incarico di presidente di Federsolidarietà, la “rapisce” ogni settimana a Roma, il suo cuore è lì. Tra quella gente che senti lavorare febbrilmente nella locale sede di Confcooperative.
Vita: Le sottopongo questo dato: nel 2006 lo 0,66% degli investimenti diretti esteri sono stati allocati nel Sud mentre il 99,34% si è orientato verso il Centro-Nord (Rapporto Svimez, ultimo dato disponibile). Che pensieri le suscita un dato così drammatico?
Vilma Mazzocco: Il dato segnala un fatto preoccupante, ma largamente prevedibile, almeno per noi che il Sud lo viviamo e lo abitiamo. È chiaro che gli investitori esteri decidono di operare in zone dove ci sono condizioni che a Sud mancano. Ci sono i problemi di legalità, di una pubblica amministrazione lentissima, inefficace, di una burocrazia appesantita. E aggiungo anche che si sente in questa fase il “peso” di una politica che non sa andare oltre la gestione del potere quotidiano.
Vita: Si ha la sensazione che la questione meridionale non esista più. Si parla di questione settentrionale, come se il problema fosse quello della legittimazione del Nord e non ci fosse più quella questione meridionale che ha accompagnato un po’ tutta la storia d’Italia?
Mazzocco: Sono molto d’accordo. Infatti, secondo me, bisogna ritornare alla questione meridionale, ma non nei termini di un tempo. Il Mezzogiorno deve abbandonare il rivendicazionismo perché è inutile e oggi è anche politicamente impraticabile. Bisogna abbandonare gli schemi convenzionali dell’approccio alla questione meridionale, ci vuole un modello di cultura nuova. Una cultura che riesca a riaprire il senso di una sfida riformista per il Sud. Cito spesso una frase di Ignazio Silone, tratta da Fontamara, che ho utilizzato in alcune interpretazioni del Sud. Silone dice che il Sud è come «un cerchio immobile». Io sono convinta che non sia un cerchio immobile ma una realtà in movimento. È una realtà che in alcuni luoghi ed esperienze esprime la consapevolezza di una eredità storica, di una eredità antropologica importante. Ma tutto questo deve essere capitalizzato in una chance collettiva.
Vita: Lei ha parlato di una tentazione al “rivendicazionismo”. Ci sono realtà e dinamismi al Sud che si sono sottratti da questa logica?
Mazzocco: Sicuramente il tessuto sociale della piccola e media impresa artigianale e agricola presenta degli elementi di proposta nuova. Però sono esempi non diffusi e quindi non riescono a costituire sistema. Invece è più che evidente che nella società del Sud c’è un forte sentimento di resa. Con un tessuto diffuso di questo tipo si fa veramente fatica a rivitalizzare e riaggiornare il valore comunitario del popolo del Sud. Dovremmo prendere come riferimento quella stagione, interessante e insieme propulsiva e di grande rinnovamento per il Sud, che sono stati i vent’anni dopo la seconda guerra mondiale.
Vita: In che senso?
Mazzocco: In quel ventennio post bellico il Sud è stato attraversato da intelligenze e da azioni estremamente interessanti. Da Pasquale Saraceno, che nel 1946 fonda l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, al lavoro iniziato da Olivetti in Basilicata, a Manlio Rossi Doria, che nel 1959 fonda il Centro di specializzazione e ricerche economico-agrarie per il Mezzogiorno, solo per citarne alcuni. In quei 20 anni il Sud è stato attraversato da importanti venti di riforma. La stessa riforma agraria è stata costruita sul lavoro e sulla partecipazione attiva dei contadini del Sud. In quel momento i valori portanti erano proprio il fare insieme e anche il lavoro. E sottolineo quest’ultima parola: se si leggono i testi di quel periodo di scrittori meridionalisti si ritrova il senso della fatica e un’idea del lavoro come impegno non solo per sussistenza della famiglia ma come impegno civile per la ricostruzione del Paese. Oggi si fa fatica a trovare un’etica del lavoro, un’etica della legalità che esprimano impegni collettivi. E questi invece sono elementi costitutivi del patrimonio genetico del Sud. Sono una sua forza identitaria. Ed oggi si parla di un Sud sfaticato e sprecone!
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