Sostenibilità

Come Milano combattè la “cultura degli scarti” aprendo all’Economia Circolare

di Walter Ganapini

Ho molto amato il Karl Kraus di Detti e contraddetti, di cui subito mi colpì l’aforisma “Il progresso celebra vittorie di Pirro sulla Natura”, essendo della generazione che criticava uno stile dissipativo di vita, produzione e consumo e la induzione ad un consumismo materialistico sfrenato da parte di poteri dediti alla massimizzazione del profitto in un mercato globalizzato né regolato né libero, causa di uno scarto crescente tra pochissimi sempre più ricchi e tantissimi sempre più poveri.

Imparai da Giulio Maccacaro e da Laura Conti che non si poteva immaginare di vivere sani in un mondo inquinato, a partire dai luoghi di lavoro, e dagli studi di Chimica con Vincenzo Balzani e dalla lettura di ‘Limits to Growth’ come insensato fosse occultare la nozione di limite delle risorse, in qualità e quantità, disponibili sulla Terra, sistema finito nel quale ogni trasformazione non ha rendimento 1 e genera entropia, e come in natura non si desse la nozione di rifiuto, poiché ogni residuo di un processo (in primis nelle catene trofiche) viene riciclato grazie ai saprofiti.

Apprendevo da Odum che gli equilibri ecosistemici si basano su flussi diffusi di materia, energia e informazione non soggiacenti a logiche di sovra- e sotto-utilizzazione (concentrazione e marginalizzazione) e capaci, dopo perturbazioni, di evolvere verso nuovi stati di equilibrio, grazie alla omeostasi che rende gli effetti di tali perturbazioni reversibili. Al contempo, Giorgio Nebbia proponeva la relazione “società dei consumi = società dei rifiuti” e l’obiettivo di una “società neotecnica”, conservativa e attenta all’interesse generale ai beni comuni Identificavo così i rifiuti come ‘dark side’ di uno sviluppo inteso solo come crescita e iniziavo a riscontrarne i contorni di “zona grigia” di interfaccia tra affari, politica, economia criminale.

Nel 1976 il “II Programma d’azione in campo ambientale” della Commissione Europea leggeva i rifiuti come tema non settoriale e per addetti ai lavori, ma parte integrante della lettura sistemica dei cicli delle risorse a scala globale, da affrontare anzitutto in termini di prevenzione. Nel 1978 scrissi allora “La risorsa rifiuti Tutela ambientale e nuova cultura dello sviluppo”, per diffondere una gerarchia di priorità discendenti da considerazioni termodinamiche, non ideologiche. Le trasformazioni materia/materia sono più efficienti rispetto a quelle materia/energia e quindi si dovevano privilegiare, nella gestione della massa crescente di rifiuti da consumismo dissennato:

  • Prevenzione (riduzione all’origine di quantità e pericolosità dei rifiuti prodotti);
  • Massimizzazione del recupero di materia (raccolta differenziata e impianti di riciclaggio);
  • Minimizzazione del ricorso alla discarica e all’incenerimento.

Con Legambiente da allora abbiamo lavorato con Comitati di Cittadini in tutta Italia per diffondere le buone pratiche coerenti con tali priorità, incalzando le Amministrazioni a rispondere con nuovi servizi di Igiene Urbana al desiderio sociale crescente di vivere in un ambiente pulito e salubre. Difficile dimenticare il Comune di Tresigallo, dove per il lancio della raccolta differenziata consegnammo la stella di “Sceriffo ambientale” a bimbe e bimbi delle Elementari, che divennero inflessibili controllori dell’adesione delle famiglie a quella che appariva ancora, nella vulgata, un’inutile complicazione delle attività domestiche ed un aumento di costi per gli utenti profetizzato da ‘fuochisti’ e ‘discarichisti’, i cui affari tangentizi emersero con Mani Pulite.

Grazie a Legambiente e Scuola Agraria del Parco di Monza decollò l’emblematica l’esperienza del Comune di Bellusco, che dimostrò come il “porta a porta” generasse miglioramento quantitativo, ma soprattutto qualitativo, delle frazioni raccolte. Non mancammo di dialogare con la cultura industriale, convinti che dovesse emergere un interesse produttivo al recupero delle frazioni riciclabili, in un Paese povero di materie prime che importava carta e cartone dalla raccolta differenziata tedesca per riciclarla nel polo cartario lucchese. Riuscimmo a rendere protagonisti di innovazione dal Gruppo Vetri all’Istituto Valorizzazione Rifiuti dei produttori di polimeri fino all’industria dell’Alluminio, che con il riciclaggio di lattine conseguiva forti risparmi energetici; nacquero così primi Consorzi di filiera dalla cui aggregazione nacque CONAI.

Prese corpo il Consorzio Italiano Compostatori (CIC), oggi leader europeo nel campo della raccolta differenziata dell’umido e sua successiva trasformazione in compost per suoli agrari, verde urbano, ripristino di aree degradate, e biometano. Rimaneva da sfondare il “muro” del decollo delle nuove buone pratiche nelle aree metropolitane: Milano fu il primo esempio di come ciò fosse possibile economicamente, industrialmente e culturalmente sconfiggendo una “emergenza rifiuti” eteroindotta per drenare denaro pubblico per affari tangentizi ed ecomafiosi. Il “Financial Times” onorò il nuovo modello ambrosiano titolando “Milan can do”. Vale la pena di tracciare il percorso della ‘rivoluzione’ milanese, a maggior ragione oggi, quando il potenziale industriale innovativo e creatore di lavoro qualificato che l’azione di Legambiente ha saputo evocare è aggredito dalla “Guerra dei Rifiuti’ che sin qui ha visto oltre 600 impianti di recupero e riciclaggio di rifiuti incendiati da ecomafiosi e corrotti che vedono compromessi i propri enormi profitti e che riprovano ovunque a generare ‘emergenze’ per riassicurarseli . Incomprensibile, al riguardo, la lunga latitanza ed assenza di presidio da parte dello Stato, se si esclude l’azione, posta in essere dalla Procura Nazionale Antimafia, diverse DDA, NOE e CC-CFS. Altrettanto incomprensibile la assenza di un bilancio di impatto ambientale e sanitario di emissioni terribili in quantità e tossicità generate da combustione di milioni di tonnellate di rifiuti eterogenei.

Torniamo a Milano, tarda primavera 1995, quando mi giunsero, improvvise, chiamate dal Comune, dalla Prefettura, dall’amico Cerrai Presidente dell’AEM, dai giornali: il Sindaco Formentini aveva deciso di aprire la propria Giunta al contributo della società civile. In quel contesto, si faceva il mio nome come nuovo Assessore all’Ambiente della città ambrosiana. Non mi raccapezzavo più, tra prospettive di vita scombinate e dubbi sulla cultura politica leghista. D’altro canto, mi pareva di conoscere come pochi i problemi ambientali di Milano. Mi sembrava anche che, accettando, avrei potuto provare a sdebitarmi con la città cui dovevo tanto, per come mi aveva accolto quindici anni prima. Già la sera dell’ufficializzazione della nomina, durante la festa per la nuova illuminazione di Piazza del Duomo, giornalisti amici e vicini alla Curia mi informarono che Consiglieri Comunali prossimi al Celeste e De Carolis annunciavano “dossier roventi” nei miei confronti.

Perché la rappresaglia preventiva? Sapevo che gli eventuali “dossier” preannunciati non sarebbero stati i primi né gli ultimi: ragionavo con Carlo Monguzzi ed Ermete Realacci, consci che in comunicazione il “first strike” e ‘media amici’ come amplificatori facessero sì che sull’obiettivo un po’ di fango rimanesse sempre. Sapevo, comunque, che avrei proseguito nel querelare a spettro ampio, così come sapevo che tra gli addetti ai lavori e tra i cittadini avrebbero fatto premio i risultati concreti, comunque. Entrarono in Giunta, oltre a me espresso dal mondo ambientalista, Grazia Maria Dente docente in Università Cattolica e vicina alla Curia ambrosiana, Italo Rota, archistar già allora famoso, Giuseppe Rusconi, avvocato di fama. Ritrovai l’amico Philippe Daverio e con lui persone che apprezzai, dal Sindaco al suo Vice Giorgio Malagoli, con rilevante esperienza industriale, dal Prof. Paolo Vantellini a Luigi Santambrogio, dall’Arch. Elisabetta Serri a Giuseppe Bonomi.

Cominciò così il periodo più duro, forse, ma tra i più esaltanti della mia vita non solo professionale. L’Assessorato mi parve subito assai povero di persone ed ancor più di competenze, purtroppo fenomeno da allora sempre più diffuso, dalle strutture centrali fino ai Comuni, nonostante compiti crescenti attribuiti dalle norme: alla “zona grigia” dava e da fastidio una struttura seria e trasparente. L’esperienza mi portò ad attivare al meglio le Aziende Comunali, facendo crescere la domanda sociale di nuovi servizi dalla rete degli ‘stakeholders’ (istituzioni formative e di ricerca, organi del Decentramento, società civile, imprese): approfittando del periodo estivo, tracciare il programma che volevo già a settembre sottoporre a Sindaco e Giunta. L’assenza di depuratori, l’inquinamento da traffico, la bonifica delle aree dismesse, una moderna politica per i rifiuti, la pulizia della città: non esistevano priorità, ma emergenze su tutti i fronti. Ero certo che molto si potesse realizzare, rispetto al nulla esistente, mettendo a valore l’attitudine dei Milanesi a stare alla pari con le altre metropoli europee e quindi consapevoli che, per essere competitivi, occorreva essere “performanti” sul piano della propensione all’innovazione, della qualità sociale e della qualità ambientale del sistema urbano-metropolitano.

Contavo inoltre di mettere al servizio di questa esperienza la rete di relazioni, costruite in vent’anni di lavoro, con l’Amministrazione Centrale, il Ministero dell’Ambiente, gli Organi della UE. Non avevo terminato di redigere il programma quando, nel cuore d’agosto, improvvisa arrivò la dichiarazione di guerra di Formigoni, sotto forma di ordinanza con la quale, nonostante accordi con le popolazioni circostanti e sentenze del Consiglio di Stato che non l’ammettevano, si prorogava di ulteriori due anni la vita della discarica di Cerro Maggiore, di proprietà della SIMEC di Paolo Berlusconi, ricetto di tutti i rifiuti di Milano e dell’hinterland, per di più a caro prezzo. Ciò mentre l’Europa, con norme recepite in leggi fortemente volute da Giorgio Ruffolo, indicava la soluzione del problema rifiuti in una strategia composta di riduzione all’origine di pericolosità e quantità dei rifiuti, di raccolta differenziata delle frazioni industrialmente riciclabili, di recupero agronomico dei residui organici, marginalizzando discariche ed inceneritori di rifiuti tal quali. La Procura di Milano indagava sui fenomeni di corruzione relativi alla elaborazione e gestione dell’allora vigente legge regionale sulle discariche che autorizzava anche il sito di Cerro Maggiore, negando il vigente Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti che la società pubblica Lombardia Risorse da me diretta aveva elaborato in modo coerente con le linee-guida europee prima citate. Si configurava un autunno pesante per Milano: come attrezzarci per evitare che i conflitti generati dall’ordinanza di Formigoni cacciassero la città in un’emergenza dalle proporzioni imprevedibili. Apparivano chiari interessi economici e trasversalità politica sottendenti la provocazione.

Oltre all’interesse diretto di SIMEC, dopo anni di collaborazione con Organi dello Stato impegnati nel contrasto alla ecocriminalità sapevo leggere organigrammi e relazioni del mondo dei rifiuti. Avevo visto scomparire dal mercato imprese che avevano osato opporsi alla “cupola” dominante e mortificare innovazione tecnologica e autonomia della ricerca universitaria, segmenti della quale erano (e ancora sono) succubi della “cupola”, poi compensati con incarichi per redigere capitolati e progetti, gestire Commissioni d’appalto, collaudi e Direzione Lavori. Nei primi ’80 avevo convinto Paolo Gentiloni a lanciare con ‘La Nuova Ecologia’ la campagna “Waste Watchers”, per promuovere attivismo civico e controllo sociale in tema di rifiuti, mentre con Carlo Monguzzi e Gianfranco Amendola demmo vita ad ONTA (l’Osservatorio Nazionale Traffici Abusivi di Legambiente), da cui prese corpo il ‘Rapporto Ecomafie’, con Enrico Fontana.

Cercai di coinvolgere l’Amministrazione Provinciale, che aveva Sonia Cantoni come consulente, nella battaglia contro il diktat della Regione, che con l’usuale arroganza anticipava a stampa che avrebbe avuto dal governo Dini poteri commissariali straordinari a fronte della volontà delle comunità di Cerro e Rescaldina di bloccare l’accesso alla discarica SIMEC. Formentini non poteva tollerare la sua Milano commissariata da Formigoni nell’esercizio di un servizio fondamentale per la città e mi coprì nella battaglia tutta romana, che vincemmo, per avere come Sindaco quei poteri; a Formigoni rimasero quelli relativi al territorio provinciale milanese. Ponemmo immediatamente mano ad uno schema che avevo già sperimentato nelle altre esperienze emergenziali che avevo vissuto, affiancando il Sindaco Commissario con autorevoli strutture di supporto tecnico-scientifico e giuridico-amministrativo, coinvolgendo dal Segretario Generale ai funzionari di molti settori del Comune, applicando lo schema ‘Conferenza dei Servizi interna all’Amministrazione’ che ritenevo la migliore forma di semplificazione ed accelerazione del Procedimento Amministrativo.

Capitava spesso, comunque, che dovessi scrivere di mio pugno le delibere più importanti da fare approvare in Giunta, per superare il muro di gomma della parte ‘resistiva’ dell’Assessorato, mettendolo così di fronte, nel caso di inadempimenti a seguire, al rischio di configurazione del reato di omissione d’atti d’ufficio. Ponemmo contestualmente mano a riorganizzazione e potenziamento di AMSA, cui spettava la responsabilità operativa di fronteggiare la crisi voluta dalla Regione: i poteri commissariali conquistati permisero di dotare l’Azienda, senza alcuna intrusione ‘politichese’, della migliore squadra mai vista in una Municipalizzata, dal Col. Martini al Dr. Gallico, dall’Ing. Zagaroli al Dr. Castagna, dall’Ing. Toscanini al Dr. Milani, a coadiuvare la Direzione di Roberto Motta e Salvatore Cappello. Grande fu l’impegno dei quadri e dei lavoratori che, con la matura adesione delle Organizzazioni Sindacali, rivoluzionarono una pigra Municipalizzata, senza un minuto di sciopero, in una azienda pluriservizi, con nove nastri lavorativi, nuovi mezzi tecnologici (dai sistemi di raccolta agli impianti di trattamento), la capacità di progettare e gestire un modello di raccolta differenziata che ne portò la resa dal 5% al 35% in peso dei rifiuti raccolti nell’arco di poche settimane. Grande fu il contributo di riflessione e proposta che venne dal ‘Forum degli Stakeholders’ sulla qualità dei servizi erogati da AMSA, gestito dall’amico Guido Viale, cui partecipavano oltre 80 rappresentanze del tessuto socioeconomico e culturale della città.

Non dimenticammo di sviluppare azioni diffuse di educazione ambientale, come quelle che vennero accolte con entusiasmo dalle Scuole milanesi, ognuna delle quali ospitò ‘green corners’ realizzati con materiali riciclati in cui collocammo contenitori per la raccolta differenziata dei residui prodotti dalla comunità di docenti ed allievi. Con l’Architetto Rota progettammo, realizzandone i due primi esemplari, le Riciclerie di quartiere, non generiche ecostazioni o isole ecologiche, ma segni forti, anche architettonicamente, della nuova identità ambientale di Milano e luoghi di aggregazione della comunità. Alberto Contri ideò la campagna di comunicazione AMSA che sottese con successo tutta la battaglia sui rifiuti: quella campagna, nota come “Separati in casa”, vinse il Premio per la Comunicazione Ambientale e venne citata come esemplare da Oreste Del Buono. Mentre progettavamo gli impianti di selezione e recupero e cominciavamo a cercare il sito dove realizzare il più grande impianto di riciclaggio del Paese, il blocco della discarica SIMEC da parte dei cittadini di Cerro Maggiore, accompagnato dalle Ordinanze di Formigoni che impedivano ai rifiuti milanesi di poter essere, anche solo transitoriamente, accolti in altri siti nella Regione, fece sì che a Milano si arrivassero ad accumulare nelle strade oltre 30.000 tonnellate di rifiuti.

Con modalità di raccolta straordinaria li raccogliemmo e li stoccammo in pertinenze AMSA, con il Servizio di Igiene Pubblica della ASL che controllava e certificava assenza di rischi per la salute. Ci aiutò nella gestione di una situazione mai vista, con l’evidente intento di Formigoni di evocare una emergenza sanitaria per portare in capo a sè l’intera gestione del sistema rifiuti, un accordo tra Formentini e Pierluigi Bersani, Presidente della Regione Emilia-Romagna, che consentì di traslare presso tre impianti in Romagna buona parte del rifiuto accumulato. L’accordo prevedeva che Milano si impegnasse in modo risolutivo a depurare gli scarichi fognari per evitarne il contributo inquinante su Po e Mare Adriatico, impegno che poi mantenemmo. Andrea Di Stefano mi convinse a visitare in ore antelucane il presidio, all’ingresso della discarica, del Comitato dei cittadini di Cerro; con loro concordammo di tenere una assemblea in paese, cui parteciparono oltre mille persone, che alla fine credettero al piano di Milano e concessero una proroga di due mesi allo smaltimento dei nostri rifiuti mentre costruivamo gli impianti. Ciò che fece vincere definitivamente la battaglia fu il supporto di Assolombarda e Assoambiente Confindustria alle nostre scelte: la Giunta localizzò l’impianto di selezione e compostaggio nell’area dismessa ex-Maserati a Lambrate, dove in pochi mesi un Consorzio dei più importanti gruppi privati del Paese investì circa ottanta miliardi nella realizzazione e messa in funzione del più moderno impianto di selezione dei rifiuti urbani residui con produzione di compost e frazione secca. Se si fosse ricorso a gara d’appalto, l’impianto non sarebbe costato meno di 400 miliardi e chissà in che tempi sarebbe stato realizzato.

La sensazione che con molti dei protagonisti ricordiamo è quella di una ‘partita’ sempre giocata sul filo del rasoio: per ogni obiettivo essenziale del piano di crisi facevamo sì che si mettessero in corsa più cavalli per cui, ad esempio, prima di scegliere il sito di Via Rubattino (ex-Maserati) lasciammo che il dissenso teleguidato dalle opposizioni evocasse come papabili almeno altri tre siti, andando in ogni assemblea a spiegare il nuovo modello di gestione e i suoi risultati, a partire dalla raccolta differenziata che si estendeva ormai a tutta la città. Dovemmo anche far fronte alle scomposte reazioni del management di Mannesmann, proprietaria di INNSE ex-Innocenti, azienda limitrofa alla ex-Maserati, che paventava turbative alle proprie lavorazioni, ma in realtà temeva il deprezzamento immobiliare dell’area, poiché era già deciso che le attività produttive nel loro sito dovessero considerarsi marginali e da dismettere. Sul piano strettamente ambientale, peraltro, la nostra realizzazione era perfettamente coerente con le migliori esperienze tedesche: mi fece pena, come sempre in tali casi, vedere gruppi di lavoratori, strumentalizzati dalla proprietà, “disturbare” riprese televisive e conferenze-stampa.

Un déjà vu che ha il potere di angosciarmi, in quanto icona della umiliazione dei lavoratori, della loro intelligenza e capacità di presa sui problemi.

Aneddoto che ben ricordo è quello della manifestazione indetta contro l’impianto da residenti di Milano2 guidati da esponenti di Forza Italia: protestavano contro gli odori che l’impianto avrebbe generato, ma non si erano accorti che l’impianto stava funzionando da due mesi, in regime di avviamento post-collaudo, e che nessun odore ne promanava, stante qualità di tecnologie adottate e gestione efficace e competente. Negli impianti di Via Rubattino trovarono occupazione più di cento lavoratori ex-Falck, che dopo qualche settimana chiesero di incontrarmi per esprimermi la loro soddisfazione nel trovarsi ad operare con cicli tecnologici assai più complessi di quelli della siderurgia (qualcuno, come sempre, aveva detto loro che avrebbero lavorato in una discarica). Quegli impianti garantirono costi di trattamento di circa 100 L/Kg, contro le 250 L/Kg pagate per il conferimento alla discarica di Cerro, e insieme a quello di compostaggio realizzato a Muggiano, hanno garantito per anni che la città di Milano fosse immune da ogni rischio di emergenza.

Per facilitare sbocchi consentiti dalla normativa per la frazione secca (CDR-Combustibile Derivato dai Rifiuti) quali cementerie (AMSA siglò accordo con Holcim) o centrali termoelettriche (AMSA aveva dialogo in corso con ENEL), il Comune negoziò e siglò un accordo con Ferrovie dello Stato per riattivare l’esistente connessione ferroviaria tra area ex-Maserati e Stazione di Lambrate, da cui convogli di vagoni con CDR avrebbero potuto raggiungere destinazioni attese, evitando di appesantire con trasporto su gomma l’area Nord-Est della città. Definimmo i nuovi impianti ‘Officine Ambientali’, intitolando Via Rubattino a Laura Conti e Muggiano ad Ercole Ferrario, medico, partigiano, a lungo Presidente di Legambiente Lombardia.

Per completare il quadro, poiché la normativa europea a metà ’90 includeva nella lista positiva delle tecnologie di recupero la combustione della frazione secca dei rifiuti in impianti di cogenerazione per la produzione di energia elettrica e di calore con cui alimentare reti di teleriscaldamento, AMSA in piena emergenza progettò un nuovo impianto di selezione e recupero energetico a Figino, in sostituzione del vecchio inceneritore, per il teleriscaldamento del Gallaratese. La realizzazione venne aggiudicata da una prestigiosa Commissione composta dai Rettori delle Università milanesi, ma la Giunta Albertini appena entrata in carica, a metà ’97, lo rimaneggiò per ripristinare l’incenerimento di rifiuti indifferenziati, con il risultato di averne raddoppiato il costo e ritardato di anni l’avviamento a causa delle difficoltà di collaudo, così come dismise l’impianto di compostaggio di Muggiano. Fecero di tutto, già dai banchi dell’opposizione, per svuotare di significato e deprimere la volontà di collaborazione dei Milanesi, con il ritornello “voi separate, loro rimettono tutto insieme e mandano a discarica” per arrivare alla cessazione di servizi fondamentali, come la raccolta differenziata della frazione umida, scatenando anche importanti giornalisti, tra cui persino Olivero Beha, con cui ebbi uno scontro pesante, ma leale e poi ricomposto nel reciproco rispetto.

D’altro tenore l’attenzione al nostro Piano della Curia Milanese, tanto che il Cardinale Martini volle che a visitare e benedire gli impianti ‘ex-Maserati’ completati fosse il Vescovo Ausiliario Mons. Erminio De Scalzi, mio Parroco e compagno del percorso al Sacerdozio di un altro amico carissimo, sempre al nostro fianco come Direttore della Caritas Ambrosiana, Don Virginio Colmegna. Ci sollevava il consenso informato del Dr. Borrelli in Procura e del Prefetto Dr. Sorge.
Si confermava ad ogni piè sospinto come la volontà di collaborazione fosse la grande risorsa di Milano: dalle famiglie alle scuole, dalle Parrocchie ai commercianti, dalla grande distribuzione e dalla ConfCommercio di Sangalli agli Amministratori di Condominio, il sistema-Milano ebbe un’impennata di orgoglio straordinario che riportò la città in alto nelle classifiche europee e ne fece laboratorio per la normativa nazionale.
Ne diede riconoscimento il “Financial Times”, che titolò in prima pagina “Milan can do-Milan shows the way” in tema di rifiuti (Fig.1). Altrettanto fece la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”.
Anche il mondo artistico condivise l’innovazione: Emilio Tadini e Mimmo Rotella arricchirono dei loro segni i cassonetti che i visitatori dello SMAU, incontravano già all’uscita della Metropolitana.

A Natale ’96, con il sistema a regime, ringraziammo i Milanesi con un ‘cielo’ di delfini in plastica riciclata realizzati dall’allora nascente gruppo Cracking Art, oggi famoso (Fig.2). E così Milano venne premiata come ‘Comune Riciclone’ da Legambiente (Fig.3). Nell’area dell‘Ulivo, alla redazione del programma ambientale del quale avevo lavorato, si premeva su Ermete Realacci perché mi convincesse a lasciare la Giunta prima delle elezioni amministrative del ’97: ci vedemmo con lui e Carlo Monguzzi, ma entrambe sapevano che non era nelle mie corde lasciare lavoro e squadra anzitempo. Mi fu perciò chiaro da dove fosse venuta la firma poco dopo apposta da Edo Ronchi Ministro dell’Ambiente ad un Decreto che mi nominava Commissario all’emergenza rifiuti della Regione Lombardia: sono abituato ad una cultura istituzionale che mi avrebbe portato a lasciare l’incarico in Comune, ma accadde che Napolitano, Ministro degli Interni cui competeva la firma finale dei provvedimenti emergenziali, non appose la sua. Non mi stupii: era nota la relazione tra i ‘miglioristi’ da lui guidati e l’area che amministrava la Regione, riscontrata più volte negli attacchi subiti in Consiglio Comunale da Lupi e De Corato coadiuvati dal capogruppo PDS Stefano Draghi, propugnatore del vecchio inceneritore di Sesto S. Giovanni, insediamento cruciale dei ‘miglioristi’ allora guidati da Cossutta.

Capii ancor meglio le ragioni della mancata firma quando, un decennio dopo, aiutai a mettere sotto controllo l’altrettanto indotta ‘emergenza rifiuti’ di Napoli, con i suoi miasmi trattativisti. Porto grande riconoscenza ad Alex Iriondo, Segretario provinciale del PDS, che mi chiese di intervenire al Congresso; purtroppo Alex se ne andò dopo pochi anni, così giovane. Altrettanta riconoscenza porto ad Antonio Pizzinato, grande dirigente CGIL e poi parlamentare ed uomo di Governo, e a Piero Bassetti. Negli ultimi mesi prima delle elezioni mi impegnai (con Gay e Rizzo) per convincere Massimo Moratti a candidarsi a Sindaco, che alla fine, come raccontava la moglie Milly, fu convinto a desistere dalle pressioni di Formigoni e Larussa. Ringrazio Aldo Romario Fumagalli per avermi chiesto di lavorare con lui al suo programma come candidato Sindaco.

Nell’ultima riunione del Consiglio Comunale, la Presidente Girardelli chiuse i lavori quando andava in votazione la delibera per l’avvio dei lavori del sistema depurativo di Milano, progettato dal Prof. Giuseppe Chiaudani di UniMI, e dal Prof. Rosso di PoliMI, e per la creazione della Azienda Speciale per le Acque, avendo nel frattempo io riportato il Comune di Milano nel Consorzio Acque Potabili-CAP. Il primo impianto da realizzare sarebbe stato a Ronchetto delle Rane, per trattare metà dei reflui cittadini, non a Nosedo come si voleva da parte di quegli interessi che le indagini della Procura avevano evidenziato: come si diceva allora, era il primo esempio di tangenti pagate prima della operatività del relativo progetto.
Forse ‘anche’ per questo i lavori vennero dichiarati chiusi d’imperio.

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