Cultura

Come luccica la divisa sotto il sole d’africa

Narrativa. Il capolavoro del nigeriano Ken Saro-Wiwa

di Emanuela Citterio

Dieci anni fa, con l?impiccagione di Ken Saro Wiva, si spegneva una delle menti più lucide e fantasiose dell?Africa. Solo allora il mondo intero si accorse della lotta degli ogoni, un piccolo gruppo etnico della Nigeria, contro le multinazionali del petrolio che avevano devastato l?ecosistema del delta del Niger e fatto terra bruciata del territorio da cui le popolazioni locali traevano le risorse per vivere. Lo scardinamento delle gerarchie naturali e sociali, seppure in un?altra direzione, percorre anche la trama di Sozaboy, capolavoro di Wiwa tradotto per la prima volta in Italia dopo la sua uscita, vent?anni, fa in Africa. Un ritardo dovuto anche alle oggettive difficoltà di rendere il linguaggio, frutto di un esperimento ardito di trasposizione in pagina dell?oralità del rotten english, un misto di inglese sgrammaticato, pidgin nigeriano e buon inglese. Ovvero, la lingua viva della strada. Quella che parla il giovane Mene che, nel suo villaggio reale e insieme archetipo di Dukana, sogna di essere un Sozaboy: «Quando vedo le uniformi che brillano e sono così belle da vedere, non riesco a dirvi come mi sento. Immediatamente capisco che questo fare il soldato è una cosa meravigliosa». Il destino di Sozaboy passa dalla perdita dell?innocenza e si snoda attraverso la vicenda grottesca e tragica di un conflitto senza senso, che costringe il giovane Mene a schierarsi prima da una parte e poi all?altra. Lo sfondo reale a cui si ispira il romanzo è la guerra del Biafra, che devastò la Nigeria dal 1967 al 1970. Ma il racconto, sempre in prima persona, è insieme realista ed evocativo. È la madre, significativamente, a trattenere dalla guerra: «Tutto questo morire, morire, morire, non mi piace per niente», dice a un certo punto la madre di Mene. È proprio il legame con le generazioni a ricostruire la continuità del senso e a incrinare il fascino della guerra. «Non è una cosa bella per un giovane morire quando non si è divertito e non ha realizzato niente da mostrare ai suoi figli e a sua madre», arriva a dire il protagonista. Ma è solo la perdita delle persone più care, vittime innocenti del conflitto, a condurre all?ammissione finale: «E stavo pensando come prima ero stato orgoglioso di andare soldato e di chiamarmi Sozaboy. Ma ora, se qualcuno viene a dirmi qualcosa della guerra, o anche del combattimento io mi metterò soltanto a correre a correre e a correre e correre…». Un testo reale e surreale. La vita come si racconta in Africa.


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