Aveva appena finito di traghettare la Chiesa fuori dai gorghi dello scandalo pedofilia, il timoniere Ratzinger. Ed eccolo costretto ad affrontare una nuova tempesta. Dopo il sesso, i soldi. Dagli abusi sui minori agli abusi (presunti) di denaro. Ancora una volta episodi connessi al precedente pontificato. Ancora una volta il timoniere Ratzinger non urla al complotto e nemmeno scarica le colpe (come potrebbe fare un Berlusconi qualsiasi) su chi governava la barca di Pietro prima di lui. Ricorda invece a se stesso e alle gerarchie ecclesiastiche la via stretta della penitenza e della conversione. Lo fa con fermezza e serenità. I fedeli sono sconvolti dalle notizie che leggono da mesi sui giornali eppure vedono e sentono nel Papa un punto di riferimento sicuro. Non avrà lo stesso carisma mediatico di Wojtyla ma ci crede, e vuole davvero una Chiesa più pulita, più trasparente del mistero di Cristo che la origina. In una parola, è credibile. Anche nel mondo laico le voci più avvedute riconoscono a Benedetto XVI un’autorevolezza che prima stentavano a riconoscere al “pastore tedesco”. Gian Enrico Rusconi, su La Stampa, ne scopre un “profilo inatteso”: l’ex inquisitore del Sant’Uffizio, il Papa anti divo per eccellenza, diventa il Papa della riforma spirituale e morale del clero. Le parole che pronuncia contro il carrierismo e le ambizioni degli ecclesiastici, quel suo indicare nei peccati degli uomini di Chiesa la persecuzione più temibile, sono «parole efficaci nella loro semplicità». E non sono solo parole. A molti era risultata incomprensibilmente “punitiva” la decisione, quattro anni fa, di cambiare tutta la dirigenza di Propaganda Fide. Ora, forse, lo è un po’ meno.
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