Mondo

Comboni contro Hegel

Nell’Europa di metà Ottocento c’erano due idee opposte dell’Africa. Intervista a Giampaolo Romanato.

di Emanuela Citterio

Parlava di “Africa agli africani” a metà dell?Ottocento, quando l?Europa ne stava progettando la spartizione coloniale. Era innamorato di un continente che Hegel, una ventina di anni prima, aveva definito “una terra pestilenziale, patria di ogni animale feroce”. Credeva nella capacità “dell?Africa di rigenerare se stessa” nel tempo in cui si discuteva ancora se i popoli al di là del Sahara avessero un?anima o meno. Daniele Comboni, il prete dell?Ottocento che Giovanni Paolo II proclamerà santo il 5 ottobre, per Gianpaolo Romanato è un?anomalia del suo tempo. Storico e docente di Storia della Chiesa all?Università di Padova, Romanato ha indagato attorno a questa ?anomalia? per una decina d?anni. Il risultato è uno di quei libri storici che riescono ad appassionare: L?Africa Nera fra Cristianesimo e Islam. L?esperienza di Daniele Comboni (1831-1881) (edizioni Corbaccio, pp. 454). Professore, lei ha letto più di mille lettere di Comboni e ha ricostruito minuziosamente i suoi percorsi in Africa, ripercorrendo di persona le sue orme. Ha confessato di avergli dedicato molto più tempo di quanto avesse preventivato all?inizio della sua ricerca. Cosa l?appassiona di questa figura? La sua straordinaria passione per l?Africa. Che appare incomprensibile se si tiene conto di ?quale? Africa incontra Comboni. L?attuale Sudan e la valle del Nilo, in cui questo prete che veniva dal Veneto spende quasi tutta la vita, era una delle zone più primitive e malsane del continente, che uccideva senza pietà gli europei che vi si avventuravano. Una terra quasi del tutto sconosciuta, per nulla esaltante dal punto di vista paesaggistico né, tanto meno, da quello climatico. Nonostante ciò, Comboni si ?esalta? di questo continente fino a sacrificargli la vita. Ecco, questa passione per l?Africa che va al di là del razionalmente comprensibile è l?aspetto della sua personalità che mi ha impressionato di più. Chi era Daniele Comboni? Un uomo totalmente dominato da un?idea, da un?unica fissazione che lo accompagna per tutta la vita: la salvezza dell?Africa. Già in embrione nel giovane seminarista, dopo il primo viaggio in Africa diventa il suo unico scopo. Le testimonianze sono concordi nel dire che era un uomo di forte fascino, con una capacità di entusiasmarsi per la sua causa che doveva essere contagiosa. Non si spiega altrimenti come tante persone, non solo missionari ma anche laici e donne, l?abbiano seguito in Africa pur essendo noto che l?ambiente stroncava e prima o poi portava alla morte. Lui stesso, che era un uomo di grande resistenza fisica, fu stroncato a 50 anni dalla vita che conduceva e dai postumi delle malattie contratte nel continente. A sostegno della sua causa viaggiò per l?Africa e in tutta Europa. Era uno straordinario artefice di pubbliche relazioni. Aveva accesso ai Papi, all?imperatore Francesco Giuseppe quando andava a Vienna, all?imperatore Napoleone III quando andava a Parigi. Se passava dall?Egitto aveva sempre udienza con il viceré. La sua determinazione di carattere – e la sua faccia tosta, potremmo dire – lo misero in grado di avere accesso diretto a tutti i grandi del suo tempo. Un uomo non privo di contraddizioni, lei sostiene nel suo studio… Che si possono ricondurre essenzialmente a una: era un prete veneto dell?Ottocento, quindi antiliberale, antimoderno, antirisorgimentale, strenuo sostenitore del potere temporale dei Papi. Che in Africa però rivela una straordinaria modernità di approccio, di movimento e di sensibilità. Paradossalmente la cultura antimoderna e tutta papalina che aveva ricevuto a Verona lo mette in grado di superare l?imperialismo e il colonialismo di cui la cultura europea era imbevuta. Comboni, pur essendo uomo di quel tempo, non è un colonialista nei confronti delle popolazioni africane e non ha spirito di conquista. Nel suo Piano per la rigenerazione per l?Africa, che scrive nel 1864, arriva a parlare di “Africa agli africani” e dell?Africa che salva se stessa. Parte da una cultura premoderna e antiliberale, ma scavalca il liberalismo avvicinandosi molto alla nostra sensibilità. C?è nella sua ricostruzione un avvenimento che più degli altri dice chi era Comboni? Il tragitto da Il Cairo a Karthoum durava due mesi e mezzo, via fiume e via terra. Di questo viaggio la parte che mi ha colpito di più è l?attraversamento del deserto della Nubia. Sono 500 chilometri, che evitano di risalire il Nilo nei punti in cui compie una grande ansa con le successive rapide. La traversata durava una quindicina di giorni, quando andava bene, e avveniva in condizioni che per noi sono assolutamente allucinanti. Il deserto della Nubia è uno dei gironi infernali del pianeta. Ha temperature infuocate, che arrivano a 55 gradi. Non c?è una goccia d?acqua, non c?è un filo d?erba, nessuna possibilità di approvvigionamento alimentare. Quindi sia il cibo sia l?acqua che si caricava sui cammelli dovevano bastare fino all?arrivo. Questo viaggio allucinante, a dorso di cammello anche per 18 ore al giorno, Comboni lo ripete quattro volte. L?Africa fra cristianesimo e islam, è intitolato il suo libro. Qual è stato l?atteggiamento di Comboni verso il mondo musulmano? Qui è bene essere chiari ed evitare i falsi irenismi. L?atteggiamento di Comboni è assolutamente negativo. Per comprendere il suo approccio con l?Africa e con l?Islam va tenuto presente il contesto in cui Comboni è vissuto: non era un prete del Concilio Vaticano II. Era un prete dell?Ottocento. Un prete veneto dell?Ottocento. Quindi educato in un ambiente antiliberale, in una cultura sostanzialmente antimoderna, in una città, Verona, dai sentimenti filoaustriaci abbastanza marcati. L?Islam che Comboni incontra in Africa non è quello fondamentalista di oggi ma l?Islam decadente, secolarizzato, starei per dire ateo, del mondo ottomano. Un mondo che non pone nessun ostacolo al suo ingresso in Africa e in Sudan, anzi lo favorisce. Cionondimeno il giudizio di Comboni sull?Islam è un giudizio totalmente negativo, che si può riassumere in un unico concetto: finché l?Africa rimarrà sotto l?egida dell?Islam non sarà possibile nessun progresso. Comboni riporta la sensazione di un mondo impermeabile ad ogni contatto con l?esterno e profondamente restìo all?incontro con altre culture e tantomeno con altre religioni. Questa è la valutazione che comunica anche a Roma, arrivando addirittura ad avvisare la Santa Sede del pericolo di un conflitto con l?Islam. Ma a metà Ottocento l?Islam era una realtà politicamente e culturalmente dormiente, che non rappresentava né un pericolo né una minaccia. A Roma, che vive la fase agonizzante del potere temporale dei Papi, si hanno tutt?altri problemi e a questi avvertimenti di Comboni si dà poca importanza. Oggi, a quasi un secolo e mezzo di distanza, credo che questo sia un aspetto della sua figura anticipatore di molti problemi odierni. Bisogna però precisare che la conoscenza storica e culturale dell?Islam era in Comboni piuttosto relativa. La sua attenzione era rivolta all?Africa nera, pagana e animista, non all?Africa islamica che gli era stata in ogni caso interdetta dall?Egitto. Nella sua ricostruzione della figura di Comboni lei sottolinea la sua posizione ?profetica? riguardo alle potenzialità dell?Africa…. È la grande intuizione di Comboni: è l?Africa che deve redimere se stessa. In un momento storico in cui l?Europa stava progettando la spartizione coloniale dell?Africa ed emergevano atteggiamenti razzisti nei confronti dell?africano, considerato un essere inferiore, in Comboni c?è una piena valorizzazione e una completa fiducia in lui. Che colpisce tanto più quanto pensiamo a quali condizioni degradate di Africa lui abbia conosciuto. Pur essendo arrivato in una delle parti più primitive del continente africano, cioè l?alto Nilo, fa un atto di totale fiducia nella soggettività africana. Nel Piano, addirittura, parla di università da fondarsi in Africa. Pur essendo molto lucido nel valutare la debolezza complessiva del mondo africano, Comboni non è colonialista né razzista, mai. Come è possibile questo ?salto? culturale? L?Africa gli aveva posto delle domande per rispondere alle quali dovette superare i limiti della sua cultura. Non avrebbe mai cominciato il suo lavoro in Africa se fosse rimasto entro quei limiti. Il suo libro si apre con una descrizione tratta dalle Lezioni sulla filosofia della storia di Hegel. Come si spiega la passione di Comboni per un continente che a quel tempo veniva descritto come “sconosciuto, fuori da ogni rapporto con l?Europa”, abitato da popoli “così barbari e selvaggi da escludere ogni possibilità di annodare relazioni con essi”? Il giudizio stroncante di Hegel rispecchia molti dei sentimenti di allora. È anche vero che nel periodo in cui matura la figura di Comboni, una ventina di anni dopo, a cavallo della metà dell?Ottocento, il mito dell?Africa stava crescendo nella coscienza europea. Era un continente di cui non si sapeva ancora nulla ma anche quello delle grandi esplorazioni, dei grandi misteri da risolvere, a partire dal mistero delle sorgenti del Nilo. Credo che il mito dell?Africa sia stato uno dei grandi miti dell?Ottocento. Ne sono una testimonianza le decine e decine di resoconti di viaggio che sono capolavori della cultura del tempo, scritti da esploratori viaggiatori europei che si avventurano per la prima volta nel continente. L?Africa era un mito che colpiva la fantasia e l?immaginario collettivo dell?Europa di allora. In questo Comboni non era solo un prete del suo tempo era anche un uomo del suo tempo. In lui a questo mito culturale dell?Africa finalmente da svelare, a questa porta della conoscenza da aprire, si aggiunge anche il mito religioso: l?Africa è il continente ancora estraneo al cristianesimo. Mito culturale, mito geografico e mito religioso si fondono insieme e spiegano la passione divorante di quest?uomo. Lei sostiene che Comboni fu un precursore anche della cooperazione allo sviluppo… In fondo Comboni istituiva scuole, metteva su centri in cui insegnava un po? di igiene, un inizio di assistenza sanitaria. Faceva un?opera di civilizzazione e di elevazione culturale. Credo anzi che la moderna cooperazione allo sviluppo abbia da imparare dal metodo di Comboni, dal suo tipo di approccio con l?Africa nera. Cosa l?ha colpita dell?Africa che ha visitato? È un?altra Africa. Attraverso Comboni troviamo l?eco di una natura e di culture che nessuno di noi vedrà mai più. In Sudan colpisce la guerra. Uno scontro ormai drammatico fra Nord e Sud che rende difficoltoso anche lo spostarsi all?interno del Paese. E la distanza che c?è tra Sudan musulmano e Sudan cristiano. Cosa dice Comboni all?Africa di oggi? In Sudan Comboni è un padre, una grande figura. Penso che utilizzandolo in modo accorto potrebbe essere un elemento di incontro con l?attuale Islam sudanese. In fondo Comboni è all?origine del Sudan moderno. E quindi anche il mondo islamico sudanese potrebbe vederlo come suo precursore.


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