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«Combatto a passo di danza»

Incontro con Germaine Acogny, la più grande danzatrice e coreografa del continente

di Joshua Massarenti

Se c’è una cosa che Germaine Acogny non sopporta sono i preconcetti sull’Africa. E sul corpo degli africani. Prendiamo il mito della danza, arte in cui eccelle da oltre 40 anni. “Quante volte ho sentito dire che noi africani abbiamo la danza nel sangue. Forse abbiamo una predisposizione, ma non per motivi genetici. In Africa la danza è ovunque, nelle feste, nelle cerimonie, ma come in tutto il mondo la danza è anche sudare sangue, un apprendimento durissimo. Chi ha deciso di farne un mestiere sa quanti sacrifici può comportare”.

Per la danza Germaine Acogny ha dato la vita. E oltre a mille sofferenze la vita ha saputo anche regalarle la soddisfazione di aver messo in piedi la più importante struttura coreografica del continente africano (L’Ecole des Sables fondata a Dakar nel 2004), riconoscimenti internazionali che le hanno consentito di girare il mondo, accoglierlo in Senegal e fare incontri straordinari.

Su tutti quello con Maurice Béjart, “il mio padre spirituale. Colui che mi ha detto: ‘Puoi darmi del tu, sei mia figlia’”. Oggi eccola di nuovo in Europa per presentare il suo ultimo spettacolo, “Songook Yaakaar”, che in wolof significa “Affrontare la speranza”. In tempi di crisi economica, “tutti hanno bisogno di coltivarla, soprattutto i giovani, troppo spesso esclusi dal mercato del lavoro e dalla possibilità di costruirsi una vita degna di questo nome”.

A 66 anni, germaine Acogny non si rassegna all’idea che “la danza, sebbene considerata un arte minore in Africa, può essere un’ancora di salvezza per molti ragazzi e ragazze che vogliono esprimere il loro talento e conquistarsi sprazzi di libertà”. Ma il prezzo che impone ai suoi allievi per offrirli il Graal è altissimo. Nei suoi corsi di formazione regna un ambiente quasi militare, perché la perfezione è una regola inviolabile di “casa” Acogny. Come ci spiega in questa intervista rilasciata a Bruxelles, la città dove tutto è iniziato…

Vita.it: Proprio qui, nella capitale europea, nasce l’incontro con Maurice Béjart. Siamo nel 1976, l’anno della svolta?
Germaine Acogny
: Direi di sì. Nello stesso anno avevo fatto anche conoscenza con l’ex Presidente del Senegal e poeta africano, Léopold Senghor. E’ grazie a loro che sono riuscita ad aprire la mia prima scuola di danza, “Mudra Afrique”. Un’esperienza indimenticabile che si è conclusa prematuramente nel 1982 per problemi finanziari.

Vita.it: Problemi che ancora oggi continuano ad assillarla…
Acogny
: Più che assillare me assillano mio marito (Helmut Vogt, ex banchiere tedesco folgorato dalla danza e da Acogny, ndr). Portare avanti un progetto come il nostro è un inferno. E’ una battaglia quotidiana. Siamo ancora vivi grazie ai fondi della cooperazione francese oppure a fondazioni come la Prince Claus Foundation (Paesi Bassi, ndr). Si dice che i nuovi paesi emergenti come la Cina o l’India stanno cambiando l’Africa, ma nel campo culturale vedo poco o nulla.

Vita.it: E il governo senegalese che cosa fa?
Acogny
: Niente, o quasi. A differenza del teatro, che qui è stato molto sostenuto, la danza è considerata un arte minore. All’epoca di Senghor, c’era molto interesse per il mondo artistico, ma il suo successore, Abdou Diouf ha voluto smarcarsi da lui abbandonando gli artisti al loro destino.

Oggi con l’attuale presidente Wade siamo semplicemente ignorati. Eppure la sua vittoria nel 2000 aveva destato molte speranze. Dopo dieci anni prendiamo atto che il ministero della Cultura è quello più soggetto a cambi di poltrona. Parli con un ministro, stabilisci un piano insieme a lui, ci lavori insieme per quattro o cinque mesi, e poi di colpo viene sostituito.

Collaborare con le autorità centrali senegalesi è semplicemente impossibile. Un peccato se penso alle cose straordinarie che portiamo avanti all’Ecole des Sables, un piccolo villaggio di danza situato a un chilometro da un villaggio di pescatori di Toubab Dialaw. Per me è la foresta sacra dei tempi moderni. Un luogo dove formiamo ballerini di tutta l’Africa. Nell’ultimo stage ce n’erano 43 provenienti da 24 paesi, diaspora compresa.

Vita.it: Che cosa insegnate?
Acogny
: Da loro pretendo che imparino alla perfezione le danze tradizionali, base indispensabile per affrontare la modernità. Perché se non sai dove vai, guarda da dove vieni. Agli allievi offriamo strumenti coreografici utili per consentire loro di poter partecipare, se non creare nuove danze contemporanee. E magari cambiare lo sguardo degli altri sul continente africano. Danzare è un atto politico. Con le parole che fanno da contorno al corpo.

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