Non profit

Combattiamo ogni giorno. Ma siamo solo dei “casi”

La controlettera di Mario Melazzini, presidente Aisla

di Redazione

«Il problema sta nella mancanza di sensibilità nei confronti della disabilità. Oggi la strumentalizzazione di alcuni singoli “casi” prevale ancora sulla volontà e sulla vocazione a prendersi concretamente cura della persona»Mario Melazzini, presidente dell’Aisla – Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica, 48 anni, pavese, sposato con Daniela, ha tre figli.

Caro Bonacina, ho letto con attenzione la sua lettera indirizzata a tutti coloro che, come me, convivono con una forma di disabilità. Un appello sicuramente provocatorio e proprio per questo stimolante nel suggerirmi alcuni spunti di riflessione, che vorrei condividere con lei e con tutti i miei compagni di malattia e di disabilità. La sua lucida analisi sull’attuale modalità di approccio alla realtà rappresentata dalle persone disabili, dal mondo della disabilità nel suo complesso e da tutte le problematiche connesse evidenzia correttamente una sorta di bavaglio alla loro «voglia/ vizio/ coraggio di vivere» applicato da un sistema mediatico che si è «corrotto, allontanandosi sempre più dal racconto della realtà». A tal punto che la realtà stessa «non appare più nel tubo catodico, non irrompono i corpi, le emozioni, le istanze».
Tra le cause di questo fenomeno, oggettivamente rilevabile, lei individua anche la «colpa di un sociale sempre più muto». Proprio su quest’ultima attribuzione di responsabilità, però, non sono completamente d’accordo con lei. Io per primo, nel recente passato, ho più volte denunciato che le volontà, le ragioni e le motivazioni di chi, pur in condizioni di grave disabilità, vuole legittimamente difendere e ribadire l’indisponibile diritto ad una vita dignitosa fanno “meno notizia” rispetto a quelle di coloro che, invece, rivendicano un presunto diritto a morire.
Così come, a livello istituzionale, si preferisce parlare di “testamento biologico”, di “direttive anticipate di fine vita” e di “buona morte” piuttosto che dell’infaticabile lavoro che le varie associazioni di disabili ed i movimenti a loro vicini svolgono quotidianamente. Nella maggior parte dei casi i mass media, nel trattare le vicende di cui sono protagonisti le persone disabili, parlano in maniera generica, e se vogliamo anche un po’ astratta, di “casi”. Dimenticandosi dell’essere umano che c’è “dentro”, e non solamente “dietro”, alla notizia da lanciare sulle prime pagine dei giornali o in apertura dei telegiornali. Il vero problema sta nella mancanza di sensibilità e di reale attenzione nei confronti del mondo della disabilità. Nonostante i disabili stessi, insieme con le loro famiglie e le associazioni che li rappresentano, stiano cercando con moltissimi sforzi di coltivarle coinvolgendo l’opinione pubblica ed il mondo politico e sociale. Oggi, infatti, la strumentalizzazione e la spettacolarizzazione di alcuni singoli “casi” prevalgono ancora sulla volontà e sulla vocazione a prendersi concretamente cura della persona. La cultura della presa in carico, della condivisione e della partecipazione nei confronti della persona disabile non è ancora sufficientemente penetrata e maturata nella nostra società.
Le assicuro che noi disabili combattiamo ogni giorno per stimolare e sensibilizzare la società in cui viviamo sui nostri bisogni e su quelli delle nostre famiglie, cercando con tutte le nostre forze di promuovere un concetto di dignità della vita umana e della persona non riconducibile unicamente alla residua efficienza delle funzioni del corpo. Una sfida senza dubbio difficile ed impegnativa. Anche perché, purtroppo, ho potuto constatare di persona che la cosa più difficile è reperire chi sia disposto, a tutti i livelli, a dare più spazio e voce alle nostre istanze, alle nostre rivendicazioni.
Perciò mi chiedo: davvero siamo noi disabili ad accettare, passivamente ed in modo ineluttabile, di essere cancellati “dalla pubblica piazza”?. O sono anche i mass media, la società ed il mondo politico istituzionale a non voler cogliere il senso della nostra battaglia civile? Sono solo i disabili a non avere forze o capacità sufficienti per spiegare le loro ragioni oppure, proprio perché i loro argomenti vengono considerati troppo problematici e implicano uno sforzo alla condivisione, queste persone sono considerate ingombranti se non un costo sociale che è più conveniente non affrontare?

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