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Com’è nata la svolta di Marcos

Dietro le scelte non violente del subcomandante c’è la regia di monsignor Ruiz. Ma anche il lavoro dei volontari italiani dell’operazione Colomba. E le mitiche “abejas”...

di Emanuela Citterio

Domenica 11 marzo, giornata storica per il Messico, c?erano anche loro in piazza con gli indios del subcomandante Marcos. Ed erano in prima fila. Sono i volontari dell?Operazione Colomba, che fanno parte dell?associazione fondata da don Oreste Benzi, arrivati in Chiapas nel ?98, subito dopo la strage di Acteal. «Facevamo parte del cordone di sicurezza della società civile. Poi l?arrivo della comandancia, il caos e il silenzio in pochi istanti. Le parole del subcomandante Marcos sono state dure ma in esse vi si può leggere anche un nuovo e straordinario messaggio, un tentativo di cambiare modello di lotta, verso un cammino non violento», racconta Alberto Capannini, uno dei primi volontari ad arrivare qui. Già perché la marcia finita sulle prime pagine di tutto il mondo ha sancito una metamorfosi del movimento zapatista. «La lotta per i diritti degli indios ha due anime, una guerrigliera e una non violenta», spiega. «Marcos ha avuto una formazione rivoluzionaria, simile a quella che ha ispirato le guerriglie sudamericane da Che Guevara in poi. Eppure l?insurrezione zapatista fin dall?inizio è stata animata dalla cultura india, intrinsecamente non violenta, che ha influenzato sempre di più anche Marcos. Questa seconda anima, che usa le armi della resistenza e del dialogo, è stata alimentata da molte realtà della società civile messicana». Ma chi c?è dietro la svolta del subcomandante? Innanzitutto c?è il vescovo cattolico Samuel Ruiz. «L?opera di monsignor Ruiz è stata fondamentale per il Chiapas», sostiene Alberto Capannini. «Per quarant?anni ha promosso un lavoro pastorale nelle comunità indigene orientato alla volontà di lottare per i diritti umani in modo non violento». Ruiz ha un giudizio molto positivo del governatore del Chiapas, Pablo Salazar «uomo serio che si sta impegnando profondamente». Ha qualche dubbio invece circa Vincente Fox, il nuovo presidente messicano, un uomo che, secondo lui, presto si dovrà confrontare con le sue promesse. Tuttavia Ruiz è pieno di speranza per quanto sta accadendo in Chiapas, come ha scritto nella lettera inviati ai membri dell?Operazione Colomba: «Saranno accadendo avvenimenti impensabili che speriamo abbiano una ripercussione positiva nella nostra patria». Ma dietro la svolta di Marcos non c?è solo lui. Ci sono anche quelle che in Chiapas chiamano ?abejas?, api. Per anni hanno lottato con le loro armi, quelle della resistenza e di una pazienza infinita. Las abejas sono indios di diverse etnie. Formano uno dei gruppi che ha fatto crescere, lentamente, l?anima non violenta della lotta dei popoli originari del Messico. Di loro il mondo ha avuto notizia nel ?97, quando, il 22 dicembre, un gruppo di paramilitari fece irruzione nella comunità di Acteal, dove un gruppo di abejas era riunito per una veglia di digiuno e preghiera per la pace. Furono massacrate 45 persone. Erano indigeni tzotziles, in maggioranza donne e bambini. Una tragedia che non nha cambiato l?atteggiamento delle abejas e la fiducia nella forza della testimonianza e della preghiera. La scelta non violenta degli indios è stata sostenuta anche dalla società civile internazionale, con migliaia di volontari provenienti soprattutto da Canada, Spagna, Usa, Italia. In questi anni di tensione fra zapatisti e forze miliari governative, con il 40 per cento dell?esercito messicano in Chiapas a portare avanti una «guerra a bassa intensità», la vigilanza di migliaia di osservatori di pace provenienti da tutto il mondo ha tenuto desta l?attenzione internazionale e ha fatto da deterrente alla violazione dei diritti umani. «Eravamo in quattromila la scorsa estate», racconta Angelo Miramonti, che per due mesi ha fatto da osservatore di pace. «Il nostro compito era quello di registrare gli spostamenti dei militari, di fare fotografie, di creare un cordone di sicurezza fuori dalle comunità indigene per scoraggiare gli attacchi dei gruppi paramilitari, che minacciano costantemente la popolazione filozapatista». Il monitoraggio dei diritti umani è stata una delle idee geniali della lotta non violenta, ancora prima dell?insurrezione zapatista. Il centro Fray Bartolomé de Las Casas, fondato dieci anni fa da monsignor Ruiz, con una rete di volontari che ha scongiurato repressioni ai danni della popolazione indigena. Info: www.laneta.apc.org/cdhbcasas/ Monsignor Samuel Ruiz sarà a Milano il 25 marzo alle ore 15, presso Corsia dei Servi, via Matteotti, 14.


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