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Colture ogm, negli Stati Uniti ci stanno ripensando

Per Greenpeace i Paesi che prima hanno coltivato gli ogm stanno scoprendo che le piante modificate generano “mostri” contro cui è necessario decuplicare l’uso di pesticidi

di Gabriella Meroni

Liberi di protestare ma non si puo’ mentire all’opinione pubblica. Questo il giudizio di Greenpeace circa la manifestazione degli scienziati favorevoli all’applicazione a tutto campo dell’ingegneria genetica. L’associazione ambientalista ribadisce che la propria opposizione non e’ alla ricerca genetica tout court, come ha lasciato intendere il Ministro Veronesi, ma sopratutto alla sua applicazione in campo agroalimentare.
I rischi connessi con le coltivazioni transgeniche sono ormai evidenti, in particolare nei paesi dove sono utilizzate da piu’ tempo come Stati Uniti e Canada. Qui e’ stato dimostrato come le caratteristiche di resistenza agli erbicidi indotte nelle varietà transgeniche siano migrate in varietà selvatiche infestanti, in alcuni casi con l’acquisizione di resistenza multipla, e la creazione di piante superinfestanti.
Per combattere queste ultime si dovrà fare ricorso a prodotti sempre piu’ tossici. E’ solo una delle prove lampanti che l’inquinamento genetico, una volta innescato, non e’ piu’ controllabile. Senza contare i rischi sanitari che, secondo Greenpeace, sono potenzialmente molto preoccupanti.
Ma oltre l’aspetto ambientale, l’applicazione di molte biotecnologie solleva anche problemi di ordine etico e morale che non riguardano solo la manipolazione degli embrioni, soprattutto quelli umani, e la creazione di embrioni misti, ma anche lo sfruttamento commerciale garantito dalla brevettabilità degli organismi transgenici e di singoli frammenti di Dna. “Chiediamo agli scienziati di prendere posizione contro il sistema dei brevetti che attualmente consente di rivendicare la proprietà esclusiva sui geni manipolati e sulla loro discendenza. Il rilascio di brevetti potrebbe addirittura rallentare il progresso e l’applicazione delle scoperte: ricercatori statunitensi sono stati ad esempio costretti a sospendere l’uso di un gene mutato per la diagnosi precoce del tumore alla mammella dopo aver ricevuto una “diffida” dai detentori del brevetto del gene che effettuano gli stessi test diagnostici al doppio del costo di quello praticato dalle strutture pubbliche” ha affermato Domitilla Senni, direttore di Greenpeace.

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