Welfare

Colpo di testa, anzi fuori di testa

Tony Adams, capitano dell'Arsenal e della nazionale inglese racconta la sua storia

di Redazione

Tony Adams ce l?ha fatta: ha vinto la sua personalissima partita, quella per la vita. E ha raccontato tutto di sé, con sincerità e senza pudori nella sua autobiografia intitolata Fuori gioco. La mia vita con l?alcol, scritta con Ian Ridley. Ha svelato il suo segreto: lui, capitano dell?Arsenal e della nazionale Inglese, personaggio pubblico stimato e rispettato, è stato alcolista per oltre 10 anni. Adesso ne è fuori, grazie all?aiuto di Steve Jacobs e degli Alcolisti Anonimi. Ma non abbassa la guardia. Racconta oggi di sé: «Continuo ad andare alle riunioni degli Alcolisti. Molti pensano che quando uno smette di bere tutti i guai siano superati. Non è così. Sono un alcolista in via di guarigione, non un ex alcolista». E continua: «La malattia è sempre in agguato». Racconta di quella volta che, in aereo, si trovò seduto vicino a un compagno che beveva un bicchiere di vino: «Il profumo era ottimo», ricorda, «e d?un tratto pensai: ?Ne bevo anch?io un bicchiere. Uno che vuoi che faccia??. Ma non è così, per gente come me un bicchiere è troppo e 100 non sono abbastanza». è stato insignito dell?onorificenza di Membro dell?Ordine dell?Impero britannico, ha continuato la sua carriera di calciatore (26 presenze con l?Arsenal anche nell?ultima stagione a 35 anni) ed è ormai diventato un esempio vivente della lotta contro l?alcolismo. «Trovo fantastico», spiega Adams, parlando del suo libro che in Italia è stato pubblicato da Baldini & Castoldi, «che molta gente si rivolga a me per avere aiuto. Rispondo a più di 10 lettere alla settimana. Sono stato anche al carcere di Pentonville a parlare ai detenuti che cercano di disintossicarsi e collaboro con un?associazione che aiuta i reclusi a uscire dal tunnel della droga o dell?alcol». Tony Adams non è nato alcolista. Il bere era diventato un modo per affogare le forti emozioni. E lui di emozioni forti ne ha avute tante. Si sentiva un leader determinato e vincente. Ma, fuori dal campo, era tutta finzione. Nel 1990 fu condannato a quattro mesi di reclusione per guida in stato di ebbrezza. Il 19 agosto 1996, infine, il crollo e la decisione di sciogliersi dalle catene dell?alcol. La storia di Adams è una sana boccata di ossigeno: una di quelle che fanno tirare un sospiro di sollievo e che aiutano a guardare con più fiducia e ottimismo il futuro. Purtroppo il pallone racconta di tanti altri calciatori, sedotti dalle sirene dell?alcol o della droga, che hanno perso la partita più importante. Si tratta di nomi famosi, di giocatori che hanno vinto mondiali, coppe internazionali, scudetti. Chi non ricorda Lennart Skoglund, il giocoliere che veniva dalla Svezia? Ha fatto sognare i tifosi interisti degli anni Cinquanta con i suoi dribbling e invenzioni. Ma era alcolizzato. La leggenda narra che talvolta nascondesse una piccola bottiglia di whisky dietro la bandierina dell?angolo, così da non rimanere a secco. è morto in patria nel 1974, all?età di 45 anni in un centro di recupero per alcolisti. E poi Garrincha, la più grande ala destra di tutti i tempi, due volte campione del mondo con il Brasile (?58 e ?62). Poliomielitico, aveva fatto del suo handicap fisico il punto di forza delle sue giocate. Nel 1983 a 50 anni morì, povero e solo, vinto dall?alcol e da una vita dissoluta. Al suo funerale si fermò tutta Rio e su un muro della città comparve una scritta: «Grazie Garrincha per essere vissuto». In Inghilterra, prima di Adams, nelle spire dell?alcol era caduto George Best, il ?quinto Beatle?, spettacolare ala destra del Manchester United a cavallo degli anni Sessanta-Settanta. è stato il giocatore preferito da Pelè; le sue serpentine si concludevano con cross che diventavano perfetti assist per Charlton e Law. Non seppe resistere alle lusinghe del successo: donne e alcol diventarono le sue ragioni di vita e del campione sportivo non rimasero tracce. Nel 1977, a 31 anni era ormai un relitto umano. è riuscito a rimanere a galla, anche se periodicamente il suo nome torna alla ribalta della cronaca nera. In altre storie l?alcol ha lasciato il posto alla cocaina. Diego Armando Maradona, forse il più forte giocatore di tutti i tempi, fu trovato positivo a un controllo antidoping nel marzo ?91. Ma era già da qualche anno che il Pibe de oro faceva uso della polvere bianca. Ed è impressa nella mente di tutti l?immagine del suo arresto in preda agli effetti della droga avvenuta un mese dopo in Argentina. Da quel momento Maradona ha cercato di risorgere. Trovò un ingaggio in Spagna nel ?92 e due anni dopo si presentò ai mondiali americani in perfetta forma, segnando un bellissimo gol contro la Grecia. Ma fu tutto inutile: ancora l?antidoping, ancora positività. Da qualche tempo Maradona, che oggi ha 41 anni, grasso e con il cuore a rischio, ha scelto Cuba e l?amico Castro per tentare la definitiva disintossicazione. Sicuramente meglio è andata a Claudio Paul Caniggia, classe ?67, che nel ?93, ai tempi della sua militanza nella Roma, fu squalificato per 13 mesi perché trovato positivo alla cocaina. Dopo i primi tempi di sbandamento, seppe ritrovarsi al punto da riconquistare il posto nella nazionale argentina e di tornare in Italia all?Atalanta dove è stato tra i protagonisti della promozione nella massima serie avvenuta due anni fa. Lo scorso anno ha brillato nel Dundee e quest?anno è passato al Rangers di Glasgow. E poi c?è la vicenda di Edoardo Bortolotti, promessa del Brescia dei primi anni Novanta, già nel giro dell?Under 21 che è morto suicida a 25 anni. Era un difensore di belle speranze e con un futuro che sembrava garantirgli soltanto soddisfazioni. Poi si infortunò gravemente. Il giorno del suo rientro, 28 aprile ?91, fu sorteggiato per l?antidoping che rivelò tracce di cocaina. Tornò dopo un anno: nel frattempo in una lettera ai giudici aveva confessato il suo dramma. Si assunse le sue responsabilità, con coraggio. Ormai sembrava uscito dal tunnel del vizio. Ma aveva paura: «?quando la gente ti appiccica delle etichette», dichiarò in un?intervista nel 1993, «diventa poi difficile togliersele di dosso. Per il pubblico e per certi giornalisti io resterò sempre il drogato Bortolotti». Lasciò il Brescia per andare in serie C nel Palazzolo. Poi il ritorno alla sua prima società, il Gavardo e il lavoro di magazziniere in una ditta del paese. Il 2 settembre 1995 il tragico epilogo, con un tuffo nel vuoto dal balcone di casa. «La cosa più importante nella vita», afferma Tony Adams, «non è riuscire a stare sempre in piedi, ma essere in grado di rialzarsi quando si è caduti». Certo che se qualcuno ti tende la mano, è più facile.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA