La Russia che resiste
Colpire Navalny per educarne 14 milioni
Con la nuova dura condanna a uno dei leader dell'opposizione che segue, di pochi giorni, quella al suo amico Kara Murza, Putin vuole intimidere quella grande fetta di pubblica opinione - un russo su 10 anche secondo i sondaggi governativi - che è contro il regime
Venerdì 4 agosto il tribunale di Mosca ha condannato Alexei Navalny a 19 anni di reclusione in un carcere di massima sicurezza, dove si trovano criminali condannati all’ergastolo e particolarmente pericolosi. L’accusa si basa sui seguenti articoli del codice penale e sui “fatti”:
- La creazione di organizzazioni “estremiste” (si tratta della creazione di organizzazioni che hanno partecipato ad attività politiche, che prima della guerra con l’Ucraina erano legali, il Fondo anticorruzione e il quartier generale – creato per partecipare alle elezioni – di Navalny).
- Gli appelli all’”estremismo” e ovviamente l’accusa di “riabilitare il nazismo”, accusa ormai irrinunciabile. Alla base di questa accusa vi sono dubbi appelli e materiali scritti che possono essere interpretati come si vuole. Rimane comunque oscuro come lo stesso Navalny vi sia coinvolto.
- Il coinvolgimento di minori in azioni pericolose per la vita. Alle manifestazioni indette da Navalny erano presenti minorenni.
- L’istituzione di un’organizzazione senza scopo di lucro (Npo), “che viola i diritti dei cittadini”. Stiamo parlando della creazione, ancora una volta, del Fondo anticorruzione.
- Il finanziamento dell'”estremismo”. L’accusa in questo caso è partita dalla raccolta di donazioni per le organizzazioni create da Navalny.
Accuse mostruose
Accuse mostruose, “staliniste” come si è espresso lo stesso Navalny in una lettera pubblicata sui social e tradotta da Meduza, alla vigilia del verdetto. Come osserva giustamente Alexei Navalny, lo scopo di queste condanne così lunghe è intimidire tutti coloro che non sono d’accordo con ciò che sta accadendo nel Paese. E chi non è d’accordo, secondo tutti i sondaggi, anche svolti dalle società governative che si occupano dello studio dell’opinione pubblica, è ormai almeno il 10% della popolazione. È fisicamente impossibile da imprigionare, sottolinea Navalny, un tale numero di persone. Non ci sono posti a sufficienza per imprigionare tutti. Ciò significa, come scrive ancora Navalny, che “è necessario stordire e intimidire, privare del desiderio di fare almeno qualcosa. Questa strategia (di Putin, come di qualsiasi altro dittatore) funziona.
Chi è al potere non può mantenerlo senza arrestare gli innocenti. Imprigionando centinaia per intimidire milioni. Pertanto non c’è da vergognarsi nello scegliere il modo meno pericoloso di resistere
Alexei Navalny
Dobbiamo parlare di tutti i prigionieri politici, non dobbiamo dimenticarci di nessuno, ma allo stesso tempo dobbiamo essere fermamente consapevoli che il potere in Russia è stato usurpato, preso illegalmente. Chi è al potere non può mantenerlo senza arrestare gli innocenti. Imprigionano centinaia per intimidire milioni. Pertanto” esorta Navalny, “non c’è da vergognarsi nello scegliere il modo meno pericoloso di resistere. Ci si deve vergognare se non si fa nulla. Ci si deve vergognare se ci si lascia intimidire. Qualunque condanna abbiano in mente per me domani, non raggiungerà il suo obiettivo se capirete di cosa si tratta e direte: “Non ho paura”, con il vostro quotidiano, lucido contributo, anche piccolo, alla lotta per la libertà in Russia”.
Il Paese è crollato
Nel suo discorso conclusivo al processo, Alexei Navalny ha descritto in senso figurato quello che è successo alla Russia: “Il Paese ha fatto qualche grande balzo, facendosi spazio, ma poi è scivolato e con un ruggito, distruggendo tutto intorno a sé, è crollato”, e ora ” si dibatte in una pozza di fango o di sangue, con le ossa rotte”. Prima o poi, la Russia risorgerà, ritiene Navalny, e paragona la rinascita della Russia alla nascita di un bambino. “Affinché una nuova persona venga al mondo, altre due persone devono accettare di mettere in conto che dovranno fare dei sacrifici. Questa nuova persona verrà partorita nel dolore, bisognerà trascorrere con lei notti insonni. E allo stesso modo, perché nasca un Paese nuovo, libero, ricco, devono esserci dei genitori. Che lo vogliano. Che lo attendano e che siano pronti a fare dei sacrifici affinché esso nasca. Sapendo che ne vale la pena. Non è necessario che tutti vadano in prigione. È un po’ come una lotteria e a me è capitato questo numero. Ma qualche sacrificio, qualche sforzo, lo deve fare ciascuno”.
Il caso Kara-Murza
Un testimone della difesa al processo contro Navalny è stato il suo amico e collega Vladimir Kara-Murza, a cui la Corte d’Appello ha recentemente confermato la condanna a 25 anni di reclusione per tradimento.
Kara-Murza ha descritto così la propria partecipazione al processo a Navalny, quando la sua prigione è stata videocollegata alla prigione dove è rinchiuso Navalny: “In una stanza che sembra la palestra di una scuola, si svolge una seduta extra muros del tribunale della città di Mosca in merito al caso di Alexei Navalny e Daniel Kholodny (un collaboratore di Navalny, che è stato condannato a 8 anni di carcere per aver organizzato delle trasmissioni video). Dietro ad un lungo tavolo, lungo la parete, siedono gli imputati e i loro avvocati, intorno ci sono molti uomini che indossano maschere nere e sul palco, con il mantello e sotto quella che sembra essere un’aquila bicipite frettolosamente inchiodata, siede il giudice Andrei Suvorov. L’intera messa in scena non è molto diversa da quella descritta nel Processo di Kafka, dove Josef K. conversa con il pubblico ministero nella soffitta di un condominio – mancavano solo gli uomini barbuti sulle poltrone del pubblico. ‘Lei è stato convocato come testimone della difesa’, mi ha informato il giudice Suvorov con voce severa. ‘Solo nei nostri tribunali un estremista può convocare come testimone un traditore della patria …’, ha osservato Alexei, iniziando a porre le sue domande. Dal momento che le domande di Alexei riguardavano le accuse contro di lui, erano anch’esse assolutamente kafkiane. Mi è stato chiesto, ad esempio, se penso che le campagne di Navalny nelle elezioni a sindaco di Mosca nel 2013 e nelle presidenziali nel 2018 siano state solo una copertura esterna per le sue attività sovversive clandestine; se la critica pubblica ai funzionari governativi fosse una manifestazione di estremismo criminale; se le indagini contro la corruzione svolte dalla Fondazione anticorruzione fossero basate su fatti o contenessero solo congetture calunniose; se le manifestazioni dell’opposizione fossero atti criminali e così via. Durante la nostra conversazione, né Alexey né io abbiamo potuto fare a meno di sorridere, e alla fine ho ringraziato sinceramente l’’imputato’ per avermi messo di buon umore. In prigione non ci sono molte ragioni per essere di buon umore. Umanamente, si può persino capire il malanimo delle nostre ‘forze dell’ordine’: picchi e picchi questi oppositori, ma loro non si spezzano mai. ‘Non perderti d’animo, l’importante è la salute’, ci siamo detti all’unisono quando ci siamo salutati”, conclude Kara-Murza.
«Sono condannato a vita»
La dichiarazione di Alexei Navalny, diffusa dopo l’annuncio del verdetto, recita: “19 anni in una prigione a regime speciale. Questo numero non ha significato. Capisco benissimo che, come molti prigionieri politici, sono condannato a vita. La durata della condanna è la mia vita o la vita di questo regime. Non sono io ad essere condannato. La condanna è per voi. Voi tutti, e non me, vogliono spaventare e privare della volontà di resistere. Siete voi che vogliono costringere a cedere senza combattere la vostra Russia ad una banda di traditori, di ladri e di furfanti che hanno preso il potere. Non dobbiamo lasciare che Putin raggiunga il proprio obiettivo. Non perdete la volontà di resistere”.
La foto in apertura è di Evgeny Feldman, Associated Press/LaPresse
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