Welfare

Colonie penali agricole sarde: una storia che rivive

Grazie al progetto di formazione professionale “Liberamente” i racconti e le memorie dei detenuti tornano alla luce in otto video immersivi creati per promuovere la storia culturale e le bellezze paesaggistiche della Sardegna, in un’ottica di recupero storico e turismo sostenibile.

di Anna Toro

La storia di ziu Paulinu, detenuto pastore prima all’Asinara e poi nella colonia penale di Is Arenas, che «come un buon padre guarda le sue caprette correre e giocare libere, mentre lui respira la pace portata dal vento». O quella dei 18 “galeotti” condannati a vita, che nel 1875 sbarcarono insieme a cinque guardie in una valle acquitrinosa, abbandonata e malarica, per fondare col sangue e sudore la nuova colonia penale agricola di Castiadas. C’è il racconto di Corrado Fiaccavento al suo primo giorno come direttore nella colonia penale di Mamone. E tantissime altre testimonianze, uscite dagli archivi delle amministrazioni penitenziarie della Sardegna in anni di ricerca, tra lettere scritte dai detenuti e mai recapitate, documenti e ricordi che raccontano un pezzo di storia dell’isola – e dell’Italia – molto spesso dimenticato: quello delle colonie penali agricole. Negli ultimi anni questi racconti sono tornati a vivere grazie alle nuove tecnologie e a otto video immersivi creati nell’ambito di uno speciale progetto di formazione professionale nato nel 2017 e tutt’ora in corso. Si chiama "Liberamente" e, capitanato da Ifold (Istituto di Formazione del Lavoro Donne), in collaborazione Confcooperative, Poliste, con l’amministrazione penitenziaria della regione Sardegna e il sistema Parchi naturali sardi, è destinato a giovani under 35 e Neet – ma anche a ex detenuti arrivati a fine pena – con l’obiettivo di formare nuove figure professionali in grado di promuovere in modo innovativo le ricchezze ambientali, culturali e identitarie della Sardegna, soprattutto quelle nate attorno alle colonie penali. I video immersivi sono tra i primi risultati di questo progetto, realizzato nell’ambito del programma europeo Green & Blue economy.

Si tratta infatti di strutture costruite all’interno di un patrimonio paesaggistico inestimabile dal grande potenziale in ottica di turismo sostenibile – tra aspre montagne, ulivi e querce da sughero, colline di macchia mediterranea, coste e mari incontaminati – basti pensare che su otto colonie presenti nell’isola ben cinque sono situate all’interno di parchi naturali. La cultura e la memoria, però, sono altrettanto importanti, così come la forte impronta sociale dell’iniziativa. «Liberamente è un progetto che parte da un precedente programma europeo di digitalizzazione dei vecchi archivi delle colonie penali. Veri protagonisti di questo progetto sono infatti i detenuti, che si sono occupati del recupero di vecchi archivi dagli scantinati umidi delle carceri sarde, e li hanno pian piano digitalizzati – spiega il Direttore del Parco dell’Asinara Vittorio Gazale durante la presentazione dei risultati del progetto avvenuta venerdì – molti fascicoli risalgono a fine 1800, in un lavoro di recupero che va avanti da 10 anni». Da queste ricerche è nato il volume curato da Gazale stesso, “Le carte liberate”, così come due cd musicali del cantante sardo Piero Marras – una sorta di istituzione nell’isola – le cui canzoni in lingua sarda e in italiano sono dedicate a queste memorie, storie e tragedie e fanno da sottofondo agli otto video immersivi pubblicati fino ad ora sul sito turistico creato dai partecipanti al progetto, Sardinia Evasion. «Quello sull’Asinara caricato di recente sul sito del Parco ha ricevuto in pochi giorni oltre 50 mila visualizzazioni» continua soddisfatto Gazale.

Un video che parla di un’isola senza tempo dove pure «il tempo diventa tangibile, prende peso, sostanza, forma, quella ferma e definitiva di edifici che hanno accolto uomini il cui tempo è diventato pena da scontare, da scandire coi ritmi dei campi della colonia”. Anche la canzone di Piero Marras in sottofondo parla del tempo, quello insostenibile del “fine pena mai” che spesso trasforma la detenzione in vendetta, eppure «un uomo non è il suo errore, e tanto ancora c’è». Tutto intorno lo splendido paesaggio aspro e incontaminato di un’isola a lungo soprannominata la “Alcatraz del Mediterraneo” (la cui fama fu sfregiata dall’unica fuga mai riuscita, ad opera di Matteo Boe), con edifici dislocati per tutto il territorio tra cui il bunker dove soggiornò Totò Riina, il carcere di massima sicurezza di Fornelli, che ospitò i maggiori esponenti delle Brigate Rosse, una nutrita rappresentanza dell’Anonima Sequestri Sarda e molti detenuti mafiosi e camorristi sottoposti al regime del 41-bis. La colonia penale fu dismessa nel 1997, anno in cui con Decreto Ministeriale viene istituito il Parco Nazionale dell’Asinara.

La testimonianza però rimane: «Il sistema di colonie e di ex-colonie penali agricole custodisce memorie storiche e identità locali con significativi risvolti etico-culturali e didattico-educativi legati ai temi dei diritti, della giustizia, del lavoro, della inclusione sociale». Delle otto colonie penali sarde, solo tre sono ancora attive: Is Arenas, Isili, Mamone, dove i detenuti sono impegnati nel lavoro a fini rieducativi, come l’accompagnamento dei turisti nelle passeggiate a cavallo, il vero e proprio lavoro agricolo e la creazione di prodotti come formaggi, miele, conserve, tra cui quelli venduti all’esterno sotto il marchio “Galeghiotto”.

Foto: Progetto Liberamente

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