Non profit
Colombino, l’eroe povero e “cretino” che si è donato al Risorgimento
L'epica garibaldina diventa appassionato romanzo. Intervista ad Alessandro Mari
di Redazione

«Era il dì di San Giuseppe, e il fumo saliva da fiamme che divoravano tutto ciò che i paesani davano loro in pasto, che fossero stroppie o fascine umide, finanche la manciata di polvere rimasta sul fondo di macine e frantoi». Troppo umana speranza, opera prima di Alessandro Mari, si apre così: sui fuochi accesi dai contadini brianzoli per chiedere al santo che mandi «pioggia il giusto e un’estate da non soffocare nell’afa» e a Dio che «garantisse il raccolto, mica che si morisse di fame come l’anno andato». È da questa campagna dura, negli anni che preludono all’Unità d’Italia, che il trentenne Mari fa partire la storia e il viaggio di Leda e del suo spasimante Colombino, un “idiota” cresciuto segnato dalla miseria, destinato a incrociare il proprio destino con quello di Mazzini e Garibaldi.
Perché il Risorgimento?
Perché il Risorgimento è l’unica svolta epica della nostra storia e, di riflesso, della nostra letteratura. Una storia dove si può riconoscere un epos – non indotto, né limitato a una élite culturale – nella disponibilità alla mobilitazione comune di uomini e donne stranieri gli uni con gli altri. È la speranza a muoversi e a smuoverli. Anche se oggi, a un osservatore malizioso, questa speranza può talvolta apparire ingenua, non va dimenticata la sua dimensione concreta, umana. Il Risorgimento è un periodo di contraddizioni, grandi e piccole, ma sempre vitali. Ciò che maggiormente lo segna è lo slancio. Come tale, è un periodo che non ha l’ambizione della chiusura e nemmeno della coerenza, dove l’azione, l’impegno, il mobilitarsi si realizzavano – come dicevano i fratelli Bandiera, che a causa del loro impegno il 25 luglio del 1844 vennero fucilati dai Borboni, a Rovito nei pressi di Cosenza – «senza speranza di premio».
Che cosa volevano dire?
Che non cercavano qualcosa, ma si donavano. Avevano chiaramente una meta, ma quella meta era come un ponte gettato oltre il “particolare”. Ciascuno, nell’azione individuale, in quella collettiva o comunitaria, non temeva però di illudersi con la speranza. Non si sperava in qualcosa di specifico (il “premio”), non si ambiva a un guadagno immediato. La speranza era il motore, il punto da cui partire, lo slancio.
Ci sono gli “eroi”, e poi ci sono i “semplici”. Quelli che, come Colombino, il sempliciotto protagonista del suo romanzo, di questa speranza ne hanno fatto addirittura una fede…
Colombino è testardo, di quella testardaggine che viene dal lavoro nei campi. Questa ostinazione non coincide con la protervia, è una fede, spinge la vita, non la trascina. Per questo Colombino non è un vinto, ma un povero, un ignorante, un analfabeta con il suo carico di dignità e di speranza, appunto. Si potrebbe dire che la speranza lo anima e trasforma la sua ingenuità in genuinità.
Eppure il tipo-umano protagonista del suo romanzo è e resta un “cretino”… Non c’è redenzione, da questo punto di vista.
E non deve necessariamente esserci. Egli è infatti semplicemente uno che vede il mondo “storto” poiché ha un’intelligenza che non si confà ai suoi anni. Anche in questo, però, possiede una sua dimensione naturale e spirituale. Non è, in altri termini, un cretino inabile al mondo, possiede semplicemente una diversa abilità nel mondo. Ha delle deformazioni fisiche, dovute alla malnutrizione e alla povertà, non è un matto shakespeariano. È uno di quei tonti che portano nel mondo una visione che non appartiene al corpo e all’età che hanno.
In tal senso, Colombino è uno di quegli uomini che fanno la storia, ma la storia difficilmente ricorda?
Mi interessava raccontare anche la storia della Speranza, quella con la “S” maiuscola, nel momento in cui si declina in forma umana. Con l’ostinazione che viene dalla terra – quella terra che per quanto dura, con il sudore, l’aratro e con i buoi, doveva comunque fruttare, pena la morte – e da un’irrequietezza tipica di certe epoche di passaggio, quando un mondo si apre e un altro si dischiude, la Speranza può diventare “più umana “, essere uno slancio concreto, ma non per questo privo di gratuità. Non c’è contraddizione tra questi due elementi, tutt’altro. Può anche essere una speranza “troppo umana”, certo, ma per diventarlo deve calarsi nel mondo, magari corrompersi, ma non rinunciare a mischiarsi con gli eventi. Il dato potente che esce dalle vicende che segnano il nostro Risorgimento è questa capacità di implicarsi e implicare la speranza nel gioco degli eventi.
Fino al punto di confondere la fede con l’amore…
Colombino porta la fede in una dimensione umana. Le apre il cuore, informa di quella fede la propria vita, la cala e distilla nel mondo. Per quanto idiota, Colombino accoglie dentro di sé un elemento potentissimo: la fede che ama e l’amore che è fede. Il fuoco che accende a San Giuseppe alla fine è dentro, non più nei campi. Ma brucia ancora. Di speranza e di vita. [Marco Dotti]
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.