Sudamerica

Colombia, perché vengono uccisi i contadini della pace

Due membri, di 30 e 15 anni, della Comunità di Pace di San José de Apartadó, realtà che ha scelto di rimanere neutrale davanti agli attori armati seguendo la regola della nonviolenza, sono stati assassinati. La terra di questi contadini è contesa dai gruppi armati che vorrebbero usarla per coltivare piantagioni di droga

di Anna Spena

Martedì 19 marzo sono stati uccisi una donna e un ragazzo della Comunità di Pace di San José de Apartadó. Le vittime sono Nayeli Sepulveda, 30 anni ed Edison David, 15 anni, rispettivamente moglie e fratello di uno dei leader della Comunità di Pace. Il duplice omicidio è stato compiuto con colpi d’arma da fuoco nel villaggio La Esperanza, nel Dipartimento di Antioquia. 

Nel numero di VITA di febbraio “Mettersi in mezzo si può” (qui è possibile scaricarlo), avevamo raccontato che cos’è e come funziona la vita nella Comunità di Pace di San José de Apartadó: un luogo dove si vive senza armi e seguendo la regola della nonviolenza. In mezzo alla selva tropicale questa comunità contadina ha scelto, oltre 25 anni fa, di resistere alla guerra in modo pacifico e di essere neutrale davanti agli attori armati. Dove neutrale non ha mai significato tenersi fuori del conflitto, ma starci in mezzo, per dimostrare che un modo di vivere diverso non solo esiste, ma è possibile, anche quando è difficile. 

Il conflitto in Colombia

«Il conflitto in Colombia», ci aveva raccontato Silvia De Munari, volontaria internazionale di Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che dal 2013 accompagna la Comunità San José de Apartadó, «è uno dei più longevi di tutto il Sudamerica, è fatto da tanti fronti che si combattono, e tutti ambiscono alla stessa cosa: diventare i padroni del narcotraffico e controllare terre strategiche per l’accaparramento di risorse naturali». C’è una pluralità di attori che hanno alimentato e trasformato il conflitto armato: movimenti di guerriglia sorti nel 1964 dalle Forze armate rivoluzionarie della Colombia esercito del popolo — Farc — Ep fino all’Esercito di Liberazione Nazionale — Eln e ancora l’Esercito Popolare di Liberazione — Elp fino ai gruppi paramilitari nati negli anni Ottanta. Gli scontri tra queste realtà hanno fatto più di 450mila morti, 120mila persone desaparecidos, otto milioni di sfollati interni. Nel 2016, dopo quattro anni di negoziati e 50 anni di ostilità, il Governo colombiano e la delegazione delle Farc hanno stipulato un accordo per la cessazione delle ostilità. «Ma la situazione», dice De Munari, «non è cambiata. Si è firmata una pace solo sulla carta, non per la vita delle persone. Basti pensare che più di mille colombiani, tra difensori dei diritti umani e leader sociali, sono stati assassinati, tra loro anche 267 tra i firmatari dell’appello. Tutte persone che si mettono in mezzo agli scontri per mostrare alla popolazione civile che la risposta alla violenza non può essere altra violenza. Che la risorsa di quel Paese non può essere il narcotraffico e l’estrattivismo». 


Operazione Colomba e la comunità di Pace

«Come volontari e volontarie di Operazione Colomba», continuava il ragionamento, «siamo state chiamate a vivere all’interno della Comunità di Pace con l’obiettivo di tutelare l’esperienza di questa comunità. Difendere questa comunità significa difendere una risorsa preziosa per il futuro del Paese e il raggiungimento di una pace vera». Dal 1997 ad oggi, nella Comunità di Pace di San José de Apartadó, sono state assassinate oltre 300 persone. «Ma qui continuiamo a camminare senza rispondere con la violenza. In comunità vivono persone che hanno visto poco alla volta morire negli scontri o assassinati membri della loro famiglia. La forma di protezione più efficace di questa esperienza consiste proprio nella nostra presenza di civili internazionali, che funge da deterrente per gli attacchi e le minacce. La terra di questi contadini è contesa dai gruppi armati che vorrebbero usarla per coltivare piantagioni di droga o per il controllo di vasti terreni da vendere alle multinazionali per lo sfruttamento di risorse minerali e naturali. Ma le terre della Comunità di Pace sono state dichiarate zone umanitarie, e da qui si piantano i semi della pace». 

L’appello: «Basta violenza»

«Nelle ultime due settimane noi di Operazione Colomba eravamo presenti in qualità di osservatori internazionali nel villaggio La Esperanza proprio a causa degli ultimi attacchi ricevuti. Io ero ripartita da quel villaggio il giorno prima del massacro», racconta Monica Puto, operatrice di Operazione Colomba. «La Comunità di Pace aveva subito di recente diversi attacchi», continua Puto, «invasioni di terreno nella proprietà privata Las Delicias, all’interno del villaggio, danni materiali a beni di sua proprietà, minacce, calunnie per screditare la resistenza pacifica che portano avanti da 27 anni per proteggere la loro terra da grandi progetti estrattivi. Il Municipio di Apartadò, gli enti locali e il governo nazionale erano a conoscenza di quanto stesse accadendo prima del massacro. Chiediamo che si fermi immediatamente questa escalation di violenza che sta colpendo chi in prima linea si spende per creare un futuro di pace per il suo Paese».

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