Carrellata di interventi sul web 2.0 applicato all’organizzazione aziendale. Iniziata giovedì scorso con Nova, proseguita con social enterprise (nomen omen) e chiusa dai ninja marketing. Tagli e approcci diversi con un solido file rouge: social network, blog, chat, wiki sostengono cooperazione, socialità, creazione di comunità. Tutti elementi più che funzionali per l’efficacia dei processi produttivi, tanto da mettere in discussione le architetture organizzative tradizionali dove invece prevalgono elementi di gerarchia, funzione, ruolo. Se poi questi elementi strutturali eccedono nella rigidità è concreto il rischio di dissipare il valore prodotto utilizzando tecnologie partecipative. C’è spazio per un confronto ad ampio raggio, anzi di più, per progetti di ricerca che affrontino almeno un paio di questioni. La prima: pensare ad un modello di organizzazione della produzione imperniato sul web 2.0 (e immagino che su questo punto le analisi abbonderanno), cercando di utilizzare qualche apprendimento sperimentato nel campo dell’imprenditoria sociale tradizionale. Seconda questione: verificare l’impatto di queste tecnologie nelle organizzazioni d’impresa dove gli elementi partecipativi sono costitutivi del modello. Imprese cooperative e sociali per intenderci. Però senza fare apologia, anzi, al contrario, prendendo il toro per le corna, ovvero il paradosso per cui proprio in queste imprese il web 2.0 non passa, o, nel migliore dei casi si è solo agli albori. Vietato giustificarsi adducendo i costi (oggi con google ci si può costruire un sistema 2.0 elementare con 40 euro l’anno per postazione) o generiche idiosincrasie culturali. Qualcuno ci vuol lavorare?
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