Non profit

Colf in regola e con contratto

Come fare per regolarizzare la posizione di una colf extracomunitaria. Risponde il nostro esperto d'immigrazione

di Vinicio Russo

Desidero regolarizzare la posizione di una colf extracomunitaria, ma avrei bisogno però di un paio di informazioni. Quali oneri dovrei considerare in relazione ai versamenti dei contributi? In caso di interruzione del rapporto di lavoro su mia iniziativa, quali norme dovrei rispettare? Paola S. (email) Chiunque nei tre mesi antecedenti alla data di entrata in vigore della nuova legge sull?immigrazione, ha occupato alle proprie dipendenze personale di origine extracomunitaria adibendolo a lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare, può denunciare, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge, la sussistenza del rapporto di lavoro alla prefettura (ufficio territoriale del governo, competente per territorio) mediante la presentazione della dichiarazione di emersione del lavoro irregolare. Tale dichiarazione deve essere presentata dal richiedente a proprie spese agli uffici postali che sono, tra l?altro, incaricati di distribuire la busta contenente il modulo della dichiarazione, nonché i bollettini per il versamento di 290 euro, quale contributo forfettario pari all?importo trimestrale corrispondente al rapporto di lavoro dichiarato, senza aggravio di ulteriori somme a titolo di penali e interessi. Il contratto della colf è regolarizzato dalle norme sul contratto di lavoro domestico, disciplinato dagli artt. 2240 e seguenti del codice civile. L?art. 2244 c.c. fa riferimento al recesso e recita al primo comma: «Al contratto di lavoro domestico sono applicabili le norme sul recesso volontario e per giusta causa, stabilite negli artt. 2118 e 2119 del c.c.»; al secondo comma: «il periodo di preavviso non può essere inferiore a otto giorni, o se l?anzianità di servizio è superiore a due anni, a quindici giorni lavorativi». Gli artt. 2118 e 2199 c.c. in particolare disciplinano il recesso (per volontà unilaterale) del contratto di lavoro. Benché le due norme prevedano la recedibilità sia da parte del datore di lavoro sia da parte del prestatore, è evidente che la maggiore attenzione è posta al recesso del datore di lavoro (licenziamento), perché destinato a incidere sulla parte più debole del rapporto di lavoro, ossia il lavoratore. Le due norme sembrerebbero legittimare il licenziamento ad nutum, cioè senza necessità di motivazione, limitandosi a prevedere la necessità del preavviso, salva la sussistenza di una giusta causa, in presenza della quale quest?ultimo non è dovuto. Le ipotesi di licenziamento ad nutum sono pochissime e tra queste rientra anche quella del lavoro domestico. Secondo il disposto dell?art. 2245 c.c. in caso di cessazione del contratto è dovuta al lavoratore un?indennità proporzionale agli anni di servizio, salvo il caso di licenziamento per colpa di lui o di dimissioni volontarie. L?ammontare di tale indennità è determinata sulla base dell?ultima retribuzione in denaro, nella misura di otto giorni per ogni anno di servizio. L?art. 2246 c.c. dispone infine che, alla cessazione del contratto, il lavoratore ha diritto al rilascio di un certificato che attesti la natura delle mansioni disimpegnate e il periodo di servizio prestato.


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