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Col sì di Bruxelles alla riforma, Terzo settore pienamente nell’economia sociale

Cosa rappresenta il via libera dall’Europa alle nuove misure fiscali introdotte dalla Riforma del Terzo settore? Cosa fare per lo sviluppo futuro? Lo abbiamo chiesto ad Eleonora Vanni, co-coordinatrice del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza

di Ilaria Dioguardi

Dopo il via libera di Bruxelles si apre un nuovo capitolo per gli enti non profit, che dal prossimo anno potranno avvalersi di regole stabili e coerenti con il quadro europeo sugli aiuti di Stato. «È sicuramente importante, chiarisce alcuni elementi fondamentali. Dà un input ad un nuovo equilibrio e ad una “legittimazione” dei soggetti del Terzo settore, all’interno di un contesto più ampio che è quello dell’economia sociale», dice Eleonora Vanni, co-coordinatrice del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza.

Eleonora Vanni

Vanni, il riconoscimento da parte dell’Europa può rappresentare una ripartenza culturale per il Terzo settore?

Sì, è sicuramente importante, anche perché l’attesa del parere dell’Unione europea ha un po’ bloccato lo sviluppo e la decisione di molte realtà e soggetti iscritti alle onlus di decidere quale veste assumere e se diventare un equivalente del Terzo settore. Questo aveva determinato una situazione un po’ confusionaria, che non era utile per nessuno. Da questo punto di vista chiarisce alcuni elementi fondamentali.

Quali?

Ad esempio, il tema delle attività commerciali e la parte fiscale per le imprese sociali. Quest’ultimo direi che era uno degli elementi principali. Anche lo sviluppo dell’impresa sociale, che ci si era aspettato, in qualche modo non c’è stato. Uno degli elementi di sistema particolarmente significativo è il riconoscimento del posizionamento di questi soggetti, cioè degli enti del Terzo settore – Ets, all’interno di un’economia sociale che si spera possa svilupparsi. Mi auguro che si trovi anche in Italia un piano per l’economia sociale, in relazione al fatto che fanno attività di interesse generale.

Dal punto di vista del sistema e della valorizzazione degli Ets, il fatto di collegare più strettamente, superando alcuni storici pregiudizi, le finalità di interesse generale e la produzione di ricchezza economica nell’ambito di un’economia con altre finalità e con organizzazioni che sono riconosciute e hanno anche alcuni vantaggi per questo, mi sembra che sia un elemento importante. Al di là della specificità della defiscalizzazione degli utili nei limiti dell’articolo del Codice del Terzo settore piuttosto che del decreto sulle imprese sociali.

Il via libera di Bruxelles mette la parola “fine” ad un momento di incertezza del Terzo settore. E verso cosa, secondo lei, dà una spinta?

Dà un input ad un nuovo equilibrio e a una “legittimazione” dei soggetti del Terzo settore all’interno di un contesto più ampio che è quello dell’economia sociale. Perché altrimenti, in Italia specialmente, fra Ets e soggetti dell’economia sociale, così come l’intende l’Europa, c’è sempre un po’ di indeterminatezza.

Per ora è rimasto fuori il tema dei finanziamenti.

Il tema del sostegno dei finanziamenti agli Ets e alle imprese sociali sarebbe utile risolverlo perché può influire rispetto allo sviluppo futuro. Le emissioni di titoli di solidarietà o le deduzioni per chi investe nel capitale di questi soggetti sarebbero importanti per creare, ancora di più, un rapporto stretto con l’economia più in generale. Ma anche per dare maggiore opportunità di crescita e di sviluppo.

Foto di apertura di Hannah Busing su Unsplash. Nell’articolo foto dell’intervistata

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