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Codice di condotta delle ONG: il governo non può stravolgere i principi umanitari

Dopo l’incontro tra i rappresentanti delle ONG e il capo gabinetto del ministro Minniti sul “Codice di condotta”, il presidente emerito di Intersos e policy advisor della rete Link 2007, Nino Sergi, chiede che nel codice "non vengano stravolti i principi umanitari e compromessa l’indipendenza del lavoro umanitario”.

di Nino Sergi

Quanto tempo si sarebbe guadagnato e quante scempiaggini in meno si sarebbero dette se il ministro Marco Minniti avesse convocato quattro mesi fa la decina di ong che effettuano salvataggi in mare per discutere sui problemi aperti in modo approfondito e attento alle reciproche esigenze.

La parte introduttiva del “Codice di condotta” afferma che l’obiettivo principale delle Autorità italiane nel soccorso dei migranti è la tutela della vita umana e dei diritti delle persone, nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali. Tuttavia l’attività di salvataggio non può essere disgiunta da un percorso di accoglienza sostenibile e condiviso con altri Stati membri”. Nulla di più giusto, nella doverosa distinzione dei due momenti, quello della salvezza della vita e quello dell’accoglienza che deve essere condivisa. C’era quindi un terreno comune su cui lavorare. Ma si è preferita, assurdamente, l’imposizione dall’alto. Forse per buttare fumo negli occhi dell’opinione pubblica, purtroppo già disorientata di fronte alle ripetute strumentalizzazioni politiche di una materia così complessa.

Come evidenziavo alcuni giorni fa su Vita, molti dei punti del Codice riflettono la situazione esistente che consiste nel rispetto da parte delle ong delle disposizioni relative ai salvataggi in mare. Elencano infatti quanto già esse stanno facendo e osservando in stretto e permanente coordinamento con le autorità di coordinamento e la guardia costiera. Due sono i punti più problematici: l’impegno a non effettuare trasbordi su altre navi (disposizione assurda e unicamente punitiva delle ong più piccole) e l’impegno a ricevere a bordo funzionari di polizia giudiziaria (che, se permanenti, trasformerebbero le ong umanitarie e i loro spazi in agenti di polizia e sedi investigative).

Due sono i punti più problematici del codice di condotta: l’impegno a non effettuare trasbordi su altre navi (disposizione assurda e unicamente punitiva delle ong più piccole) e l’impegno a ricevere a bordo funzionari di polizia giudiziaria.

Rimanere uniti in difesa dei principi umanitari

I rappresentanti delle ong hanno potuto finalmente discuterne martedì 25 luglio con il prefetto Mario Morcone, capo di gabinetto del ministro Minniti, presentando e motivando le problematicità riscontrate sulla base dell’esperienza maturata ma anche sulla base di principi umanitari più che consolidati a livello internazionale. Venerdì 28 ritorneranno ad incontrarsi. C’è quindi tempo perché presentino, meglio se in modo unitario, proposte con le dovute correzioni o precisazioni, affinché non vengano stravolti i principi umanitari e compromessa l’indipendenza del lavoro umanitario. Sarebbe singolare, incoerente, contraddittorio se un paese come l’Italia formalizzasse simili storture. Le ong stanno mantenendo un ponderato riserbo. Il ministro e il capo di gabinetto sono persone sensibili a questi temi e sanno bene che le ong umanitarie, tutte, comprese quelle italiane, non possono e non devono superare certi limiti.

Ecco, in sintesi, quanto il Codice prevede:

1. Impegno a non entrare nelle acque libiche, salvo in situazioni di grave ed imminente pericolo

2. Obbligo di non spegnere o ritardare la trasmissione dei segnali di identificazione

3. Impegno a non effettuare comunicazioni o mandare segnali luminosi per facilitare la partenza di mezzi che trasportano migranti

4. Impegno ad attestare l'idoneità tecnica della nave e l’addestramento dell’equipaggio per le attività di salvataggio

5. Obbligo di notificare al centro di coordinamento marittimo l’intervento di ricerca e salvataggio e impegno ad informarne le competenti autorità dello Stato di bandiera, assicurando loro anche costanti informazioni sulle attività

6. Obbligo di tenere costantemente aggiornate le competenti autorità di coordinamento sull’andamento delle operazioni in corso

7. Impegno a non effettuare trasbordi su altre navi, tranne che in situazione di grave e imminente pericolo, trasportando direttamente le persone soccorse nel porto sicuro indicato dalle competenti autorità

8. Impegno a ricevere a bordo funzionari di polizia giudiziaria, su richiesta delle autorità nazionali competenti, per indagini collegate al traffico e la tratta di esseri umani

9. Impegno a dichiarare le fonti di finanziamento per le attività di salvataggio in mare

10. Impegno a cooperare lealmente con le autorità di pubblica sicurezza del luogo di sbarco dei migranti, anche trasmettendo informazioni utili alle investigazioni nel rispetto delle normative sui rifugiati e sulla privacy

11. Impegno, dopo i salvataggi, a recuperare nei limiti del possibile le imbarcazioni ed i motori fuori bordo, informando le autorità di coordinamento.

Foto di copertina: Matthieu Willcocks/Moas.eu

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