Welfare

Cococo e non profit: si cambia. La flessibilità? È dura

Il terzo settore alle prese con la riforma Biagi, tra difficoltà ad assumere i collaboratori e richieste di modifica alla legge. Ma i sindacati sono critici: "La Biagi non si cambia".

di Carmen Morrone

“Entro il 31 dicembre dobbiamo eliminare i contratti di co.co.co., ma il tempo è troppo breve?”: chi parla è il presidente di un?associazione di volontariato di Cesena. E come lui in molti esprimono, con telefonate in redazione, preoccupazione e sconcerto di fronte alle nuove direttive imposte dalla riforma Biagi. Non diverso il tenore delle email. “I nuovi contratti non si adattano alle attività del non profit”, considerano i volontari di un?associazione di Salerno.
Sta di fatto che dal 24 ottobre, giorno della entrata in vigore della riforma Biagi, commercialisti e consulenti sono presi d?assalto da datori di lavoro che vogliono sapere come comportarsi. Tra questi anche presidenti o amministratori di associazioni di volontariato che chiedono spiegazioni. I rapporti di co.co.co. devono infatti essere riconducibili a uno o più progetti o programmi di lavoro determinati dal committente.
Ma è davvero allarme? “È vero che la legge Biagi necessita di rodaggio, ma ci sono punti fermi”, dice Ivan Guizzardi, presidente del sindacato dei lavoratori atipici Alai-Cisl. “I contratti co.co.co. già esistenti continuano a operare sino a scadenza, ma non oltre il 24 ottobre 2004. Dunque per un anno. Dopo devono essere trasformati in contratti di lavoro subordinato o in nuovi rapporti atipici. Le collaborazioni nuove, nate dal 24 ottobre, devono invece essere legate a un progetto. I co.co.co. oggi sono diventati contratti di lavoro che può firmare solo chi svolge professioni intellettuali (con l?iscrizione obbligatoria in un albo), chi lavora per associazioni e società sportive, i componenti di organi di amministrazione e controllo di società, i partecipanti a collegi e commissioni, chi percepisce la pensione di vecchiaia. Dunque le associazioni non profit potranno avere co.co.co. solo per queste figure”.
Dal Summit della Solidarietà arriva però l?idea di creare la figura giuridica dell?operatore sociale delle associazioni di volontariato: “Il legislatore deve riconoscere la rilevanza sociale ed economica del non profit”, afferma Ilaria Borletti, presidente di Amref, “sostenendolo nel percorso di professionalizzazione. Il Terzo settore insieme alle parti sociali deve creare un contratto ad hoc caratterizzato da una flessibilità maggiore di quella prevista dalla Biagi”.
Savino Pezzotta, segretario della Cisl, avanza qualche perplessità: “Ho dubbi sulla chiara individuazione del lavoratore tipico del Terzo settore. Chi è il lavoratore sociale? Come valutare le motivazioni etiche nel lavoro?”. E continua: “La legge Biagi introduce forse qualche rigidità per questo settore, ma i lavoratori devono essere uguali e quando si riconoscono diritti e tutele questi valgono per tutti. I lavoratori del non profit non sono di serie B”.
Ma la legge Biagi ha indotto anche a cambiare registro: dai contratti atipici a quelli subordinati. È il caso di Intervita, associazione impegnata in progetti di cooperazione nel Sud del mondo. “La cinquantina di persone che lavorano da noi, entro la fine del 2004 avranno il contratto di lavoro subordinato”, spiega Marco de Mauro. “Pensiamo che sia importante investire nel personale”.
Una scelta difficilmente praticabile da associazioni medie e piccole. Per un collaboratore (co.co.co. o a progetto), l?associazione versa i due terzi del 14% dello stipendio alla gestione separata Inps, mentre per un dipendente l?aliquota contributiva sale al 33%. Maurizio Carrara del Cesvi avanza una proposta: “Si dovrebbe arrivare a un accordo con lo Stato in modo che le associazioni contribuiscano sino all?aliquota attuale, mentre la restante parte venga corrisposta dallo Stato sottoforma figurativa”.

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