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Clint, la forza di cambiare

Gran Torino: Eastwood non finisce di stupire

di Maurizio Regosa

Gran Torino è l’auto sfavillante della fabbrica per antonomasia, la Ford, e un’epoca lontana. Gli anni 50 e oltre. Quando se dicevi «la catena», tutti capivano. Quando i ragazzi erano educati in quel modo che consentiva anche alle generazioni precedenti di comprenderli, e gli uomini parlavano in un modo tutto loro e la vita aveva un’apparenza di semplicità che poi è andata smarrita. Non sono dettagli che introducono alla nostalgia. È ciò che spiega il protagonista di questo ottimo film (forse il migliore dell’ultimo Clint Eastwood): Walt Kowalski è tutto questo e altro ancora; la guerra in Corea, la crisi della società post industriale, le troppe cose che non ha mai detto e il dolore che, continuamente, ha ricacciato dentro. Intorno a lui però, e alla sua casetta molto americana e assai ben tenuta, tutto è cambiato. I vicini. Il degrado del quartiere. Un diverso modo di fare che ha trascinato il modo d’essere.
Lo troviamo così. Ingrigito reazionario. L’anima come accartocciata, colma di rancore, razzismo e pregiudizi. Tuttavia Walt è ancora capace di guardare attorno a sé e di scoprire quel che in un primo tempo non aveva visto. Che la ragazza della porta accanto non è solo un “muso giallo”, ma è intelligente e acuta. Che suo fratello non è solo un timido hmong né soltanto un ladruncolo. Che insomma quel che appare non è. E che, soprattutto, quel che non appare ha un’efficacia insospettata. Sul piano esistenziale e sociale come, in fondo e nonostante tutto, su quello spirituale. E come spesso avviene, basta un secondo perché quel che non si vedeva appaia, perché il reale irrompa nella vita di quest’uomo inaridito. Rovesciando le sue consuetudini, spingendolo a scelte che non avrebbe mai immaginato. Persino a prestare al piccolo orientale, dopo averlo preso sotto la sua protezione, quella Gran Torino per cui prima avrebbe ucciso. Una trasformazione che non è improvvisa. Sarà per il buon ritmo della narrazione. Sarà per la persuasività dell’attore Eastwood, ma la metamorfosi, non del tutto attesa, risulta convincente. Come una presa d’atto. Cui anche gli spettatori arrivano, dopo aver assistito a un racconto che si prende i suoi tempi, che non ha fretta di arrivare alla conclusione e ha comunque la classica tensione che appassiona e circonda gli eroi. Perché naturalmente anche Walt è un eroe, al tramonto e acciaccato ma tutto d’un pezzo. E perché questo film è il suo elogio. Non privo di accenti critici, ma sincero. Sottolinea i lati oscuri ma non tace di un’umanità contraddittoria, scontrosa ma piena e onestamente vissuta.


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