Sostenibilità

Clima: a rischio un terzo delle specie in Africa

Lo rivela un rapporto dell'Onu reso pubblico alla conferenza sui cambiamenti climatici in corso a Nairobi.

di Redazione

Un terzo delle specie africane potrebbe perdere il suo habitat naturale entro il 2085 come conseguenza dei cambiamenti climatici, mentre in alcune zone l’innalzamento dei mari potrebbe portare alla distruzione del 30% delle infrastrutture costiere. A rivelarlo è un rapporto dell’Onu reso pubblico in questi giorni in occasione della dodicesima Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici in corso fino all’11 novembre a Nairobi.

«Il cambiamento climatico si sta rapidamente manifestando come una delle più gravi minacce che l’umanità abbia mai dovuto affrontare». ha dichiarato ieri il vicepresidente del Kenya, Moody Awori, nell’aprire la conferenza. «Abbiamo una grande compito da affrontare», ha aggiunto Awori, particolarmente preoccupato degli effetti dell’aumento delle temperature nei paesi dell’Africa Sub-sahariana. Le economie di questi paesi «sono le più colpite», ha sottolineato, «oltre il 70 per cento della nostra popolazione vive in aree rurali».

Il direttore del Programma per l’ambiente dell’Onu, Achim Steiner, ha dichiarato: «il problema non è stato causato dal continente africano e ancora una volta è l’Africa a doversi adattare».

Nonostante ancora si sia lontani dalla piena applicazione del protocollo con cui a Kyoto nel 1992 si tentò di bloccare l’effetto-serra, i delegati riuniti in Kenya sotto l’egida delle Nazioni Unite sono chiamati ad avviare già una riflessione su cosa accadrà dopo il 2012, quanto scadrà il trattato. Per undici giorni, fino all’11 novembre, seimila delegati esamineranno le più recenti scoperte scientifiche e si confronteranno sulle possibili nuove strategie da adottare per ridurre le emissioni di inquinanti nell’atmosfera. E cercheranno anche di suggerire a paesi in rapida industrializzazione, quali Cina e India, come ridurre al minimo l’impatto ambientale del loro sviluppo.

«Si tratta delle emissioni di lusso degli Stati Uniti contro le nostre emissioni di sopravvivenza» ha detto uno dei principali attivisti africani per l’ambiente, Grace Akumu. I 189 rappresentanti che sottoscrissero nel 1992 il trattato Onu sul clima sono oggi divisi in due gruppi: da una parte i 165 che hanno sottoscritto nel 1997 il Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni di gas serra, dall’altra i pochi altri che non hanno ratificato l’accordo, guidati degli Stati Uniti. Gli scienziati ritengono che la presenza nell’atmosfera di ossido di carbonio, metano e altri gas serra abbia causato un aumento della temperatura di 0,6 gradi Celsius, pari a un grado Fahrenheit, nel corso del secolo scorso.

L’accordo di Kyoto obbliga 36 paesi industrializzati a ridurre entro il 2012 le proprie emissioni del 5% rispetto ai livelli registrati nel 1990. Ma nel 2001, il presidente Usa George W. Bush si rifiutò di ratificare l’accordo, sostenendo che avrebbe danneggiato l’economia americana. A Nairobi, i paesi che hanno sottoscritto il protocollo di Kyoto discuteranno il tipo di emissioni da colpire e le tappe utili per soddisfare la scadenza del 2012.

Per Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia: «Le società umane non possono permettersi questo e possono ancora evitare i mutamenti climatici dalle conseguenze più disastrose e pericolose, ma le possibilità stanno rapidamente esaurendosi con il passare del tempo e la mancata azione». E propone: «Con una vera leadership politica e a un’azione congiunta tra tutti i paesi del mondo, entro 10-15 anni potremo avviare una reale riduzione delle emissioni globali».

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