Scuola
Classi sempre più vuote nell’ora di religione
A 40 anni dalla revisione del Concordato, che l’ha reso facoltativo, sempre di più sono gli studenti che scelgono di non avvalersi di questo insegnamento. Dal 2001 a oggi, il calo è stato di circa il 10%, con punte massime al Nord. A Firenze e Bologna, per esempio oltre il 35% degli studenti non frequentano. Quali le ragioni, le sfide e le prospettive? Ne abbiamo parlato con Ernesto Diaco dell'Ufficio Nazionale della Cei per l'educazione, la scuola e l'università

Sarà la tentazione di entrare a scuola un’ora dopo, o uscire un’ora prima. O sarà semplicemente disinteresse, se non vera e propria avversione. O forse sarà che la società è sempre più laica e le famiglie sempre meno praticanti: quel che è certo è che l’ora di religione a scuola riceve sempre meno adesioni. Negli ultimi 20 anni, la percentuale di studenti che si avvalgono di questo insegnamento è diminuita di oltre il 10%, passando dal 93,2% (anno scolastico 2001/2002) all’83,3% (2024/2025).
La grande fuga degli studenti del Nord
L’Italia, anche in questo come in tanti altri casi, è divisa in due: al Nord il calo è più pronunciato, mentre nelle regioni del Sud l’ora di religione è ancora piuttosto frequentata. In alcune città del Nord Italia, come Firenze e Bologna, le percentuali di studenti che non si avvalgono dell’Insegnamento della Religione Cattolica – Irc superano il 35%, mentre nelle grandi città settentrionali si attestano attorno al 30%. Al contrario, queste percentuali diminuiscono man mano che si scende verso il Sud del paese.
Nel Nord, la percentuale di studenti che si avvalgono dell’Irc è inferiore rispetto al resto del Paese: qui, soprattutto nelle grandi città, come Milano, Torino, Bologna, circa il 30% degli studenti non frequenta l’ora di religione. In alcune scuole, questa percentuale supera il 35%, con picchi fino a oltre il 90% in alcuni istituti. Nel Sud Italia, la partecipazione all’Irc è significativamente più alta: in regioni come la Sicilia, la percentuale di studenti che si avvalgono dell’Irc supera – a volte anche ampiamente – il 90%.
Una tendenza inarrestabile?
Non sono ancora noti i dati delle iscrizioni per il prossimo anno scolastico (che si sono chiuse lo scorso 10 febbraio), ma è probabile che la tendenza resterà la stessa, tanto che la Conferenza episcopale italiana ha pubblicato un messaggio per le famiglie per ricordare l’importanza e il valore formativo di questa disciplina e incoraggiandole ad aderire all’Irc. Segno che la crisi c’è e preoccupa chi ritiene che “l’ora di religione” abbia tanto da insegnare. Magari rivedendola e adattandola alle caratteristiche e le esigenze di una scuola – e di una società – sempre più multiculturale, pluralista, interreligiosa. In una parola: laica.
Passato e futuro
Sono passati esattamente 40 anni da quando l’insegnamento della religione cattolica a scuola è diventato facoltativo: la svolta storica è infatti avvenuta con la Legge n. 121 del 25 marzo 1985, in seguito all’Accordo di revisione del Concordato tra Stato Italiano e Chiesa Cattolica. Prima di allora, era un insegnamento obbligatorio in tutte le scuole pubbliche.
Da allora, si sono succeduti una serie di interventi normativi, volti ad armonizzare questa disciplina con il principio di laicità dello Stato. Tra questi, l’introduzione, nel 1990 (Dpr n. 751) della cosiddetta “ora alternativa”, che può consistere nell’entrata posticipata o l’uscita anticipata (qualora l’Irc sia in prima o ultima ora), in attività didattiche alternative (per esempio la musica, nelle scuole superiori) o nello studio individuale assistito.
Oltre vent’anni di passi verso la laicità
Nel 2003, un ulteriore passo verso la laicità viene compiuto grazie alle Linee guida dei programmi dell’Irc, definite dall’intesa tra Cei e Miur: una rivisitazione in chiave culturale e non confessionale. Nel 2009, una sentenza del Tar del Lazio (n. 7076) introduce la valutazione – e quindi la valorizzazione ai fini dei crediti scolastici – anche per i percorsi alternativi all’Irc. Dal 2020, questi percorsi devono essere assicurati anche in presenza di un solo studente (Sentenza del Consiglio di Stato n. 2749).
C’è però ancora un nodo da sciogliere: la nomina degli insegnanti di religione, per la quale è necessaria l’idoneità rilasciata dal Vescovo della diocesi di riferimento. Solo in presenza di questa idoneità, il ministero dell’Istruzione nomina e assegna l’insegnante alle scuole, come docente a tempo determinato o, se di ruolo, a tempo indeterminato.
In molti – tra cui il teologo Vito Mancuso – chiedono che la nomina e la gestione degli insegnanti di religione siano affidate esclusivamente allo Stato. Questo, per garantire quel pluralismo e quella laicità che sono oggi irrinunciabili e imprescindibili nella scuola italiana.
Quale religione a scuola?

Quale futuro aspettarsi ,quindi per l’insegnamento della religione cattolica a scuola?
E quale senso può avere, oggi, una disciplina come questa?
Ne abbiamo parlato con Ernesto Diaco (nell’immagine) insegnante di religione e direttore dell’Ufficio Nazionale della Cei per l’educazione, la scuola e l’università.
Prima di tutto, è vero che la partecipazione all’ora di religione nelle nostre scuole è in calo?
Sì, il calo è costante, anche se lieve: mediamente lo 0,5% annuo. Le differenze ci sono: rispetto alla media nazionale di coloro che scelgono l’Irc, che è di circa l’84%, le regioni del Nord vedono l’asticella fermarsi al 76% mentre al Sud la percentuale è sostanzialmente stabile e supera il 96%. Se guardiamo agli ordini di scuola, il salto maggiore si registra nel passaggio fra la secondaria di primo grado e il primo anno della secondaria di secondo grado, dove non sono più i genitori a scegliere ma gli studenti.
Quali sono, dal Suo punto di vista, le principali ragioni di questo calo?
Un certo peso ce l’ha l’aumento degli alunni con cittadinanza non italiana, ma sbaglieremmo se pensassimo che chi proviene da altre culture o tradizioni religiose non sia interessato all’Irc, anche perché non sono pochi quelli che invece la scelgono. Inoltre, resta sempre allettante, per gli studenti più grandi, la possibilità loro riconosciuta di uscire dalla scuola o di entrare più tardi quando l’Irc è alla prima ora. Capita ancora, inoltre, di incontrare pregiudizi o una conoscenza parziale di questa disciplina, come se fosse un’ora di catechismo o una proposta rivolta solo ai credenti, invece di quello che è per statuto: uno spazio di cultura e di educazione rivolto a tutti, svolto “nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni”, come prevede la legge.
Pensa che questo fenomeno abbia a che fare con l’allontanamento delle famiglie dalla Chiesa e la progressiva laicizzazione della società?
Anche questo è un fattore da considerare. Resta però da spiegare l’anomalia che vede le percentuali degli alunni frequentanti l’Irc molto superiori – anche fra gli adolescenti – a quelle dei giovanissimi che si dichiarano credenti o che frequentano le parrocchie e i gruppi ecclesiali. Credo sia la conferma che si tratta di due esperienze diverse tra loro e che, nonostante la scristianizzazione diffusa, ai genitori e agli stessi ragazzi non dispiace avere un contatto con i significati e i valori propri della cultura cristiana, senza contare che l’Irc è un’occasione di dialogo e di confronto come ce ne sono poche.
Ritiene che le scuole abbiano una responsabilità, magari per il modo in cui propongono la disciplina, o le alternative ad essa?
Vi sono casi in cui la dignità della disciplina e degli insegnanti di religione non è pienamente riconosciuta, ma si tratta di situazioni sporadiche. Come si diceva, un’ora libera o un orario diverso può essere attraente. Ma, parlando delle scuole, generalmente l’Irc non è vista come un corpo estraneo o un’anomalia, bensì come parte dell’offerta formativa e agli insegnanti di religione si riconosce professionalità e sensibilità educativa, oltre che disponibilità a coinvolgersi nell’intera vita scolastica
In questo contesto, la Cei sta valutando delle iniziative per rilanciare o ripensare l’insegnamento della religione cattolica? È in discussione anche una trasformazione dei contenuti o dei metodi?
Quest’anno cade il quarantesimo anniversario dell’Intesa del 1985 che, recependo la revisione del Concordato fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, introdusse il nuovo regime e quindi la scelta da parte delle famiglie e degli studenti. Per l’occasione la Cei pubblicherà un documento per ridire oggi il valore di questa “alleanza educativa” tra scuola, Chiesa, famiglie e alunni. Inoltre, è in fase di avvio una nuova indagine nazionale, la quinta della serie, a circa dieci anni dalla precedente. Più che di trasformazione dei contenuti e dei metodi, parlerei di un aggiornamento continuo, in linea con l’innovazione didattica e pedagogica di tutta la scuola. Circa i contenuti, è cresciuta l’attenzione al dialogo interreligioso e all’educazione civica. L’Irc non è una realtà statica, ma una disciplina in costante cammino.
Quale ruolo può avere oggi l’Irc in una scuola che è sempre più pluralista, sia sul piano culturale che religioso? E in che modo può contribuire alla formazione degli studenti?
Le ragioni della presenza dell’Irc a scuola non sono meno attuali oggi rispetto a quarant’anni fa. L’Irc contribuisce alla crescita degli studenti mettendoli a contatto con un ricchissimo patrimonio di cultura e di valori, stimolando il pensiero critico ed educando al dialogo, provocando in loro le domande di senso e l’esercizio della loro libertà e responsabilità.
In apertura foto di © Fabio Fiorani/Sintesi
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