Inclusione scolastica

Classi differenziate? Un tuffo al cuore

Continuano le reazioni alla proposta, ventilata in un'intervista dal candidato leghista Vannacci, della reintroduzione delle classi speciali. Maurizio Ferrari, padre di Martina, una giovane donna con autismo, racconta la sua esperienza di 8 anni di scolarizzazione integrata

di Maurizio Ferrari

Sono trascorsi 15 anni esatti da quando nostra figlia Martina ha terminato il suo percorso scolastico. Ma ogni volta che si parla di scuola e di persone con disabilità, mia moglie ed io ci sentiamo ancora coinvolti, razionalmente ed emotivamente.
Martina è una donna di 32 anni con autismo grave, livello 3, come indica il DSM V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Da un anno a questa parte, dopo una lunga marcia di avvicinamento fatta di prove e riprove, vive la sua vita al di fuori del nucleo familiare, insieme a un gruppo di compagne e compagni, nel progetto sperimentale “Appartamenti in Centro” di Cooperativa Amicizia, a Codogno (Lodi).
Il suo percorso di vita è stato complesso, tortuoso, faticoso per lei e per noi genitori, e la parentesi scolastica non è stata irrilevante, tutt’altro.

Differenziate? No scuola dell’integrazione

Quando sentiamo qualcuno ventilare l’ipotesi di un ritorno alle classi differenziate, ci viene un tuffo al cuore. Siamo infatti convinti che per Martina la scuola dell’integrazione, quella della legge 104 del 1992 (coincidenza vuole, il suo anno di nascita), abbia rappresentato un contesto positivo per la sua crescita. Positivo in concreto, al di là di quanto è sancito insindacabilmente dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità e dall’articolo 3 della nostra carta costituzionale. E pure con tutti i distinguo e le criticità del caso, perché la scuola – per come l’abbiamo conosciuta – non è e non può essere un’isola felice, impermeabile ai problemi della società che la circonda.
Provo ad argomentare meglio, cercando di proporre un po’ artigianalmente un ragionamento prima fattuale e poi controfattuale.

Un ragionamento fattuale

Nostra figlia Martina, oltre alla scuola dell’infanzia, ha frequentato la scuola primaria e quella secondaria di primo grado. Nei due ordini di scuola dell’obbligo ha sempre avuto insegnanti di sostegno ed educatrici ausiliarie. Molti problemi alla scuola primaria, con avvicendamenti e sostituzioni di personale praticamente ogni anno e livelli di competenza non sempre adeguati, ma compensati in parte da umanità ed empatia. Di quegli anni ricordiamo con affetto un paio di compagni di classe che volontariamente facevano da tutor a Martina e che si erano molto affezionati a lei. Decisamente più gratificante l’esperienza alla scuola secondaria di primo grado, soprattutto grazie a una dirigente scolastica illuminata e seriamente interessata a una scuola inclusiva. Qui l’insegnante di sostegno e l’educatrice ausiliaria sono rimaste le stesse per tutti gli anni di frequenza, facendo anche formazione specifica sull’autismo e sulle strategie di intervento più idonee. Le giornate erano strutturate in modo modulare, con ore di presenza nel gruppo classe e ore di attività specifica individuale. I compagni e le compagne, e con loro i rispettivi genitori, erano stati coinvolti in riunioni ad hoc in cui si era spiegato cos’era l’autismo e quali erano le caratteristiche di Martina, sotto ogni punto di vista. E la capacità di accoglienza e di adattamento della comunità scolastica è stata senz’altro all’altezza della situazione.
Questa, in estrema sintesi, la cronistoria.

Scuola, a cosa è servita

Ma veniamo agli elementi positivi che hanno contrassegnato l’esperienza scolastica “integrata” di nostra figlia. Uno su tutti: la scuola ha costituito per Martina, nei fatti, la prima, fondamentale esperienza del mondo esterno al microcosmo familiare, esperienza del mondo così com’è, fatto di differenze che devono convivere e plasmarsi a vicenda. Nella scuola della legge 104 nostra figlia ha imparato i rudimenti del rapporto con gli altri, nonché alcune semplici regole del vivere insieme, senza poter contare sull’intermediazione conciliante e talvolta supina dei genitori.

Nella scuola della legge 104, nostra figlia ha imparato i rudimenti del rapporto con gli altri, nonché alcune semplici regole del vivere insieme

Maurizio Ferrari, padre di una giovane donna con autismo grave

Ha appreso piccole ma significative abilità sociali che, a casa e in ogni altro contesto “mirato”, difficilmente avrebbe potuto apprendere. Da parte sua la scuola, in tutte le sue componenti – insegnanti, allievi, genitori – ha acquisito esperienze e competenze inclusive sicuramente replicabili, cosa che in effetti è avvenuta.

Maurizio Ferrari

Un ragionamento controfattuale

Cosa sarebbe accaduto se Martina avesse frequentato delle classi differenziate? Siamo nel campo delle ipotesi, ovviamente, ma credo di poter fare delle considerazioni sufficientemente solide. Dal punto di vista delle abilità e delle autonomie, in campo cognitivo e comportamentale, il percorso di apprendimento di Martina avrebbe potuto essere migliore solo a patto di avere insegnanti super-specializzati e super-aggiornati. Ora, è immaginabile una classe differenziata ad hoc per persone con autismo grave? A mio parere, no. Ma ammettiamo anche che, in condizioni ideali, Martina sarebbe stata in grado di acquisire un maggior livello di abilità e di autonomie. Cosa ne sarebbe stato della sua esperienza del mondo? Semplicemente, non avrebbe avuto esperienza alcuna, se non quella ristretta ed esclusiva di un gruppo di pari in svariate condizioni di disabilità. E il mondo della scuola quale esperienza avrebbe avuto di Martina? Nessuna: distacco totale, separazione, apartheid.

Cosa sarebbe accaduto se mia figlia avesse frequentato classi differenziate? Cosa ne sarebbe stato della sua esperienza del mondo? Semplicemente non ne avrebbe avuta alcuna

Maurizio Ferrari, padre di una giovane donna con autismo grave

Se pensiamo che la scuola è l’agenzia socio-educativa che prepara ciascuno di noi a entrare nell’età adulta con un sufficiente bagaglio di competenze e di esperienze, cosa potremmo aspettarci da una scuola che sacrifica sull’altare delle prestazioni individuali il più alto valore aggiunto che essa può dare, ovvero la capacità di diventare dei cittadini consapevoli e orientati al bene comune? Credo che potremmo aspettarci assai poco. Parere di un profano, s’intende, anzi di due profani, mamma e papà di Martina.

La foto in apertura è di Foto di Laura Rivera su Unsplash.

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