Sostenibilità
Class action, in tribunale porte aperte ai consumatori
Il pianeta americano delle class action, nate sullonda del movimento consumerista, dove i clienti-vittime portano le aziende in tribunale chiedendo risarcimenti milionari ...
di Redazione
L?arringa ai consumatori, alla sbarra le multinazionali. Per Wal- Mart il capo d?accusa è la discriminazione sul lavoro, mentre Burger King si ?dimentica? di rimborsare ai dipendenti gli straordinari. Ma davanti ai giudici ci sono anche i prodotti difettosi di case farmaceutiche come Vioxx, le false campagne pubblicitarie delle creme solari di Sunscreen come quelle delle sigarette ?leggere? Philip Morris, oppure il fondo pensione della grande distribuzione che investe in titoli rischiosi, perde e getta sul lastrico le famiglie.
È il pianeta americano delle class action, nate nel 1938 e poi disciplinate negli anni 60 sull?onda del movimento consumerista guidato da Ralph Nader, dove i clienti-vittime portano le aziende in tribunale chiedendo, di norma, risarcimenti milionari come compensazione alle scorrettezze dell?industria. Nel 2005 le cause contro le società Usa generavano un business da oltre 3,3 miliardi di dollari, con una media di 27 milioni per processo. Una montagna di denaro, che ha regalato felicità agli studi legali, i cui proventi derivano unicamente dalle commissioni, ma soprattutto ha inviperito le grandi compagnie. Tanto da convincere il presidente George W. Bush ha imporre un giro di vite, approvando la riforma del settore con il Class Action Fairness Act, una versione ?light? della popolare istituzione americana.
In Europa la materia è relativamente nuova. Il principio che consente a una collettività di costituirsi come parte civile contro un?azienda è stato introdotto dall?Unione Europea solo nel 1998, anche se già dai primi anni 90 Paesi come Olanda e Portogallo si sono dotati di simili strumenti giuridici. Nel 2000 è stata la volta della Gran Bretagna, seguita nel 2001 da Svezia e Spagna. Il 2007 è l?anno di Francia e Italia. Anche se i problemi non mancano. Oltralpe, dove il disegno di legge sarà discusso a febbraio, il candidato alla presidenza <b>Nicolas Sarkozy</b> ha espresso le sue perplessità nei confronti delle class action, perché «rischiano di legare a vincoli insopportabili l?economia francese».
Da noi, invece, le proposte abbondano e per questo dividono. Dopo il primo tentativo ad opera di <b>Mario Lettieri</b> (Margherita), approvato alla Camera ma poi bocciato al Senato nella scorsa legislatura, sono pronte ai blocchi due modelli di class action tricolore. Il primo segue le orme dell?originale americano, in cui ogni cittadino è legittimato a promuovere un?azione collettiva. L?altro è quello firmato dal ministro per lo Sviluppo economico <b>Pier Luigi Bersani</b>, che limita il perimetro alle associazione dei consumatori, dei professionisti e Camere di commercio, escludendo però tutte le altre (dai sindacati a quelle di promozione sociale). Spiega <b>Paolo Fiorio</b> del Movimento Consumatori, orientato positivamente all?ipotesi Bersani, ma anche favorevole all?allargamento del numero di associazioni coinvolte: «Il sistema americano delle class action ha molti meriti, ma ha prodotto tante distorsioni. In tanti casi i veri vincitori sono stati gli avvocati e non i consumatori. La linea Bersani offre una soluzione che potenzia i diritti senza creare caos e incertezze da eccessiva deregulation. Perché i controlli sono necessari, per evitare un uso smodato di questi strumenti».
Una prima vittoria sul fronte delle azioni collettive è già arrivata in porto. A gennaio il tribunale di Torino ha accolto le richieste del Movimento Consumatori che aveva citato in giudizio Wind- Infostrada per una falsa campagna pubblicitaria del 2001. «La vicenda dimostra quanto ci sia bisogno di una normativa sulle class action», continua Fiorio, «perché se fosse già in vigore, avrebbe obbligato l?azienda a pagare direttamente i cittadini, anziché lasciare i ai singoli consumatori le procedure di risarcimento». E conclude: «Ma la proposta Bersani non è indenne da critiche. Soprattutto sul fronte delle spese processuali, troppo onerose per le associazioni, e sulla rapidità delle procedure processuali»
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