Cultura

Clandestino sarà lei

di Guido Bosticco

Clandestini siamo noi quando prendiamo al volo un treno senza timbrare il biglietto. Quando rubiamo le saponette in hotel. Clandestino era il giornale antifascista “Non mollare”, fondato da Gaetano Salvemini e Carlo Rosselli, l’uno esiliato, l’altro ucciso dallo stesso regime.

Clandestini sono certi filosofi e scrittori, gli scienziati e i loro pensieri non adeguati al sentire della politica e della morale, lo erano i martiri, lo sono i credenti nella religione sbagliata nel posto sbagliato, clandestini lo siamo stati ogni volta che un pensiero un po’ folle, inconfessabile, ci ha cavalcato le sinapsi: fuggire, mollare tutto, sovvertire una situazione, ma anche fare una sorpresa, un regalo, organizzare un flashmob. Clandestini siamo nella gran parte della nostra vita sui social network, dove siamo e non siamo noi e le nostre parole – nascoste dietro un nickname – vanno oltre il confine che ci porremmo di persona.

Clandestino significa solo una cosa: nascosto. Né bene, né male, semplicemente nascosto. Eppure sembra esserci un destino nella parola clandestino: la pronunci e qualcuno si trasforma in qualcosa. In un oggetto pericoloso, fuorilegge, illegale. Oggi clandestino significa solo una cosa: quello che arriva a casa nostra non voluto. Perché clandestino lo diventa in forza di una legge che non è quella del suo Paese, ma del nostro, visto che il diritto a migrare, pur riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nei fatti non esiste.

Alcune associazioni di giornalisti e movimenti organizzati hanno scelto di bandire dal proprio vocabolario al parola clandestino, sostituendola di volta in volta con vocaboli più appropriati: rifugiato, sfollato, richiedente asilo, profugo, migrante, titolare di protezione sussidiaria o umanitaria.

Hanno pensato che clandestine spesso sono le parole, offensive e sbagliate, quelle sì senza permesso di soggiorno.


ph. by Vince Cammarata | Fosphoro

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