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Clandestini o pezzi di ricambio?

di Redazione

Nicola Montano è stato un poliziotto di frontiera. Nel 1990 ha seguito il biblico sbarco degli albanesi sulle coste pugliesi. Andato in pensione nel 2008, ha scritto uno stupendo libro, Ladri di stelle (Medusa) in cui racconta le sue esperienze. Eccone una pagina: l’ultima.

Esiste un’altra categoria di clandestini, quella dei disperati. Quelli cioè che non hanno nulla se non il proprio corpo. Quelli che viaggiano in compagnia delle ruote di scorta dei camion. Attaccati ai longheroni dei telai dei tir o quelli che per sedili usano i cerchioni delle stesse ruote di scorta. Quelli in cerca di dignità e cibo che non trovano e che nel tentativo di trovarli viaggiano a trenta centimetri dall’asfalto nero, che non vedono perché costretti a tenere gli occhi chiusi per la polvere. Viaggiano in costante pericolo di scivolare e di morire travolti dalle ruote. Sono quelli che si confondono con i vari organi meccanici che i camion hanno sotto di loro. Somigliano a pezzi di ricambio usati. Perché pezzi di ricambio? Perché ci vuole abilità a scovarli sotto i tir. Tutti gli elementi, e cioè polvere, grasso, fumi di olio minerale e smog li mimetizzano nell’ambiente in cui si trovano rendendoli simili alle balestre, agli ammortizzatori, ai semiassi o alle marmitte.
A un agente di polizia napoletano che stava segnalando la presenza di due giovanissimi ragazzi clandestini scovati sotto un camion, chiesi di che “razza” fossero. La risposta, che fotografava in modo geniale la circostanza e che mi fece amaramente sorridere, era stata: «Ispettò, nun u saccio. Mi sembrano due pezzi e ricambio. L’unica cosa che di umano tengono, so’ gli occhi».

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