Immigrazione
Cittadinanza, le Acli: «È tempo di regolamentare, non di respingere»
Sul tema della cittadinanza consapevole interviene anche la Federazione delle Acli internazionali, auspicando un'apertura del governo verso il contributo degli organi rappresentativi degli italiani all’estero
di Redazione

«La cittadinanza italiana non può essere solo una questione generazionale, si tratta di una questione molto complessa che le Acli, anche grazie all’esperienza maturata attraverso le associazioni della Federazione delle Acli internazionali, attive in 21 Paesi, stanno seguendo da tempo». Così il presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia, che aggiunge: «Perché non si è proceduto con un iter parlamentare, in cui le tante sensibilità che hanno già prodotto proposte di legge sul tema possano trovare in sintesi, anche grazie al contributo degli organi rappresentativi degli italiani all’estero?».

«Da troppi anni le Acli e molta società civile richiamano l’attenzione delle istituzioni sulla regolamentazione di una cittadinanza consapevole, anche rispetto al fatto che è diventato vergognosamente un prodotto da commercializzare e, a fronte di tutto questo, si ricorre a un decreto-legge che si chiude a ogni modifica», prosegue Manfredonia. «Siamo di fronte al picco di detanalità e di fecondità, si aprono scenari complessi anche nell’immediato futuro, e il Governo pensa ai respingimenti e alla conta degli avi, per ridurre ancora di più le richieste di cittadinanza».

«Esisteranno ancora “italiani che non parlano italiano”, come viene ricordato da chi ha solo una idea negativa delle nuove generazioni di italiani nati all’estero, a danno di tutti coloro che hanno la voglia di coltivare la propria identità italiana con sincero legame al nostro Paese», sottolinea Matteo Bracciali, vicepresidente nazionale della Federazione delle Acli internazionali. «Sarebbero necessari dei correttivi, in particolare con una regolamentazione che dia la possibilità di trasmettere la cittadinanza quando sussiste, ad esempio, la certificazione di una profonda conoscenza linguistica. Un altro rilievo sui disegni di legge annunciati riguarda le modifiche delle procedure di richiesta della cittadinanza italiana. Anche sul rapporto cittadinanza-diritti sociali, chiediamo al Governo un reale ascolto delle rappresentanze degli italiani all’estero: l’idea di alleggerire la pressione sui Consolati non deve essere un’ulteriore complicazione nel rapporto con l’amministrazione pubblica né un rallentamento o, peggio, un numero chiuso per l’ottenimento della cittadinanza. Dall’altra parte, sul tema della partecipazione dei nuovi italiani alla vita pubblica, non è sufficiente chiedere di esercitare diritti o doveri almeno una volta in 25 anni, perché non è una cittadinanza “compilativa” quella a cui dobbiamo tendere, ma la norma deve prevedere investimenti in strumenti di consapevolezza, come informazione, educazione e prossimità tra Italia e chi è italiano e vive in altro Paese del mondo. Riteniamo un gravissimo errore non aver ascoltato le rappresentanze degli italiani all’estero, come Comites e Cgie e le reti associative, ma abbiamo ancora speranza di poter contribuire a costruire una normativa inclusiva, per sostenere una cittadinanza consapevole».
Foto di Annie Spratt su Unsplash
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