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Cittadinanza Express
Presentata una proposta bipartisan per accorciare i tempi di ottenimento della cittadinanza
Quando i portoni di Montecitorio stavano ormai accostandosi per schiudersi alla pausa estiva, due deputati, Fabio Granata (Pdl; è anche vicepresidente della commissione Antimafia) e Andrea Sarubbi (Pd) hanno depositato una nuova proposta per la revisione dei meccanismi di ottenimento della cittadinanza.
Cosa cambierebbe
L’idea di fondo è quella di accelerare i tempi necessari per ottenere lo status di cittadino italiano. Attualmente sono necessari dieci anni; se passasse l’ipotesi Granata-Sarubbi scenderebbero a cinque ma il requisito temporale sarebbe affiancato ad altri come la stabilità economica del reddito, la verifica di un livello generale di conoscenza della lingua italiana e il giuramento sulla Carta costituzionale. Ottenuta la cittadinanza piena, si potrebbe godere naturalmente dei diritti civili previsti dalla Costituzione (fra cui il voto). La novità più dirompente (perché interrompe la tradizione dello jus sanguinis, cioè l’acquisizione della cittadinanza in relazione a quella dei genitori), riguarda però le seconde generazioni: chi nascerà in Italia anche se da papà e mamma stranieri, diventerà cittadino (ovvero sarà applicato lo jus soli).
«La nostra proposta», ha detto Granata all’Adnkronos, «è in linea con i richiami di Napolitano e Fini alla necessità di una reale integrazione degli immigrati ed alla sovranità parlamentare. È un’iniziativa di legge parlamentare, e non del governo, e se avrà i numeri in Parlamento, passerà». «Dopo il via libera al pacchetto sicurezza» – ha aggiunto il deputato – «lo stesso Maroni ha sottolineato l’opportunità di inviare un segnale di apertura in direzione di una maggiore integrazione degli immigrati. E la possibilità di essere italiani “per scelta” e non in base a meri passaggi burocratici, e con tempi più rapidi, è un forte segnale verso una maggiore integrazione».
«Non passerà mai»
Un progetto bipartisanamente coraggioso, quello dei due deputati. Sui quali come forse era prevedibile hanno cominciato a piovere critiche. Scontate quelle del Carroccio. Per il capogruppo della Lega ad esempio, Roberto Cota, semplicemente «non passerà mai». Egualmente articolata l’opinione di Mario Borghezio che ha bollato la proposta come «bla bla buonista». Di «scelta antistorica» ha invece parlato Andrea Gibelli, sottolineando la necessità di una «effettiva integrazione nel nostro tessuto sociale, culturale ed economico» (ha però dimenticato di aggiungere che nel 2007 le tasse dei lavoratori migranti hanno portato all’erario 7 miliardi di euro di contributi previdenziali). Ha invece tagliato corto Raffaele Volpi, componente della commissione Affari costituzionali della Camera: «La Lega non intende discutere il principio dei dieci anni di residenza per ottenere la cittadinanza». Ma la proposta (per il momento indicata come atto 2670 in attesa di assegnazione) è stata presa di mira anche da altri esponenti Pdl. Isabella Bertolini (Pdl) l’ha bollata come una «proposta molto di sinistra». Secondo Maurizio Gasparri, sempre più lontano dal presidente della Camera, Gianfranco Fini (che per primo sottolineò la necessità di un ripensamento della cittadinanza), questa riforma «non si farà mai». «Tutt’al più», ha aggiunto, «gli unici cambiamenti possibili dovrebbero essere maggiormente restrittivi grazie all’introduzione di maggiori verifiche».
Il fronte del sì
Un sostegno alla proposta Granata-Sarubbi viene dall’opposizione, Pd e Udc in testa (con Gianclaudio Bressa e Rocco Buttiglione). Ma anche da una parte del Pdl. «Spero non sia necessaria una nuova carica dei 101», ha detto Alessandra Mussolini (si riferisce al manifesto firmato da un centinaio di parlamentari che bloccò l’introduzione della norma sui medici-spia). Insomma, questa proposta potrebbe accendere gli animi e la polemica politica Si vedrà alla ripresa dei lavori. Intanto, nella conferenza stampa di Ferragosto, il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, dopo aver precisato che a suo parere non c’è la necessità di intervenire sulla cittadinanza, ha ammesso che «il Parlamento è sovrano».
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