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Città a misura di giovane? Se l’urbanistica è partecipata

In tutta Italia stanno sorgendo patti di collaborazione, che permettono una rigenerazione urbana co-progettata da amministratori e amministrati. Secondo Pasquale Bonasora, presidente del Laboratorio per la sussidiarietà, è un modo di applicare la Costituzione. A condizione che i municipi collaborino con le persone che abitano i territori

di Redazione

Foto di Ivan Bandura su Unsplash

Ripensare le nostre città in modo che siano accoglienti per la cittadinanza e attrattive per i giovani. È possibile? Secondo Pasquale Bonasora, Presidente del Laboratorio per la sussidiarietà – Labsus – realtà impegnata a far conoscere la possibilità costituzionale che i cittadini hanno di svolgere attività di interesse generale secondo il principio di sussidiarietà orizzontale – sicuramente sì, se le amministrazioni collaborano con le persone che abitano il territorio. Esistono, infatti, degli strumenti collaborativi, come i patti di collaborazione, che permettono a individui o a gruppi di prendersi cura, assieme alle istituzioni, di beni materiali o immateriali. A mettersi in gioco attraverso questi progetti, i Comuni che hanno firmato i Regolamenti per l’amministrazione condivisa, che sono, a oggi, 300 nel nostro Paese. Di patti, invece, ne sono stati firmati 7.000.

«Noi siamo convinti che non ci possa essere rigenerazione urbana senza rigenerazione sociale», afferma Bonasora. «Oggi una pubblica amministrazione che vuole essere moderna e vuole cogliere le opportunità sul territorio ha bisogno di lavorare sugli strumenti collaborativi, abbinandoli a modelli più classici di amministrazione. Non possiamo fare a meno della rappresentanza, ma è sotto gli occhi di tutti che la delega a un gruppo di persone non è più sufficiente: per rispondere ai bisogni che sempre di più emergono dalle comunità bisogna costruire processi, percorsi, relazioni». In questo, giocano un ruolo fondamentale i giovani e le associazioni giovanili, che si prendono personalmente carico di una parte del proprio futuro ed entrano in campo nella gestione di un bene della collettività.

Alcuni esempi virtuosi

A Genova, per esempio, nel Municipio V, il più povero della città – sconvolto, nel 2018, dal crollo del ponte Morandi – è in atto un patto di collaborazione che coinvolge delle realtà di ragazzi nella rigenerazione e gestione di un palazzetto, il Paladiamante.

Pasquale Bonasora
Pasquale Bonasora

L’obiettivo è far diventare la struttura un presidio sportivo, sociale, aggregativo, come strumento di contrasto al degrado e di inclusione, specialmente verso le persone del quartiere a rischio marginalità.

A Bagheria, nella città metropolitana di Palermo, invece, Villa Castello, un bene confiscato alla mafia, è diventato un centro accogliente e partecipativo, il «Centro aggregativo polivalente Don Milani», dedicato, evocativamente, al famoso religioso dell’«I care» e della Scuola di Barbiana. A co-progettare questa trasformazione insieme all’amministrazione 26 associazioni ed enti del Terzo Settore del territorio coordinate dal Centro servizi per il volontariato di Palermo – Cesvop, che hanno deciso di formare una rete con lo scopo di trasformare l’edificio in un luogo di protagonismo giovanile: nel processo sono stati coinvolti anche gli studenti del liceo classico di Bagheria, che hanno vigilato affinché questo obiettivo rimanesse centrale in tutte le fasi della costruzione del progetto.

Un contributo concreto al benessere della comunità

Per creare un ambiente cittadino inclusivo, aperto e vivibile non sono importanti solo i patti complessi, ma anche quelli più semplici, in cui singoli individui o piccoli gruppi si prendono carico di un’attività di cura. «Si tratta di un processo di trasformazione culturale e relazionale», racconta il presidente di Labsus. «Spesso chiediamo alle persone perché hanno deciso di sottoscrivere questo impegno e la risposta è sempre la stessa: la possibilità di dare il proprio contributo alla collettività attraverso un’azione concreta». Il processo culturale che si crea attraverso i patti – piccoli o grandi che siano – crea un terreno fertile per la nascita e lo sviluppo delle imprese sociali, lo strumento economico che, quasi naturalmente, si lega alla cura dei beni comuni, siano essi materiali o immateriali. L’interesse centrale, infatti, non è prioritariamente quello di dare un lavoro a chi la costituisce – anche se può rappresentare un’occasione per i giovani di costruirsi un percorso professionale –, ma il benessere della comunità.

La foto in apertura è Ivan Bandura da Unsplash

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