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Cisv: «La gente del Mali è con i francesi»

C'è chi reputa l'intervento francese un modo per salvaguardare i propri interessi nel paese, ma la maggioranza è favorevole all'azione militare in atto al nord contro gli integralisti islamici. L'intervista alla cooperante dell'ong italiana che vive nella capitale Bamako

di Daniele Biella

“Le persone per strada? Sventola bandiere francesi assieme a quelle maliane”. Non è un’immagine del tempo della colonizzazione, ma è quanto sta accadendo in queste ore in buona parte del Mali, alle prese con una guerra di cui i media internazionali parlano poco ma che sta mettendo a repentaglio la vita di centinaia di migliaia di persone nel nord del paese africano. Dieci giorni fa, l’esercito francese ha iniziato un pesante attacco aereo e via terra per cacciare da dove sono venuti (dal deserto libico e dalle altre ‘terre di nessuno’ di quelle zone) i commandos integralisti islamici che da mesi stavano avanzando verso il ventre del paese, arrivando alle porte della popolosa Mopti, a 800 chilometri dalla capitale Bamako, città, tra l’altro, che ha ospitato il Forum sociale mondiale 2006. Monica Del Sarto, cooperante dell’ong italiana Cisv, vive da due anni proprio a Bamako, assieme al marito e a un’altra volontaria italiana, operando come responsabile amministrativa per un progetto di empowerment della società civile maliana,  in primo luogo le associazioni legate ad agricoltura (cerealicoli) e allevamento (bovini e ovini). Vita.it l’ha raggiunta al telefono.

Si vedono bandiere della Francia, quindi gran parte della popolazione è favorevole all’attacco militare voluto dal governo di Parigi?
Sì, almeno l’80% degli abitanti è sollevato da questo attacco militare che allontana la paura dell’arrivo nel cuore del Mali delle forze integraliste. L’altro 20%, memore della colonizzazione, si interroga invece sull’opportunità di questa azione e sugli interessi in merito del Governo di Parigi.

Com’è la situazione nella capitale Bamako?
C’è tranquillità, seppur l’argomento sia presente in ogni discussione. È chiaro che non ci si sente del tutto al sicuro e il timore di attentati è ben presente, ma tutto sommato rispetto al solito c’è solo un maggior numero di forze dell’ordine in giro, più controlli ma senza tensione. I militari francesi si vedono solo all’aeroporto, dove atterrano i cargo e vengono scaricati i materiali da guerra. Li ho visti personalmente la scorsa settimana quando sono tornata in Mali dopo un breve periodo in Italia. A Bamako, quindi, si è coscienti la guerra c’è, ma non la si vede.

Quali indicazioni hanno dato le autorità a voi internazionali?
Non possiamo uscire dalla capitale, per il resto lavoriamo in normalità. Per noi significa non potere andare a Mopti dove si svolge una parte del nostro progetto con i contadini e gli allevatori, ma il personale locale presente in quella città sta continuando a lavorare senza problemi e noi comunichiamo con loro in modo assiduo. Comunque, già dallo scorso aprile, da quando c’è stato il colpo di stato dei militari che ha destituito il presidente eletto creando un vuoto governativo che dura ancora oggi anche per la scarsa tenuta politica dell’esercito maliano, la situazione era cambiata e ci era stato detto di non recarsi al nord per pericolo di rapimenti.

Come è possibile che nel paese del primo Forum sociale mondiale africano si sia arrivati alla guerra in così poco tempo?
Probabilmente il Mali era stato sovrastimato dai governi mondiali, si era venduto troppo bene e si è rivelato non così trasparente e democratico come si credeva. Con il colpo di stato sono venuti fuori gli scheletri dagli armadi, e ora si è in una fase di grande confusione politica da cui non si vede la via d’uscita.

Quali prospettive ha il paese africano?
L’aiuto che può dare la comunità internazionale è quello di ripristinare la capacità dei maliani di governarsi da soli. La base di partenza è quella di un popolo che si sente unito e laico: questi sono i due capisaldi che la gente vuole conservare per il futuro. Il primo passo è avviare un percorso per arrivare a nuove elezioni libere. Mi auguro che ciò avvenga il più presto possibile.


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