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Cisgiordania, Rice: le colonie minano il processo di pace

Richiamo del segretario di Stato Usa al primo ministro israeliano Olmert, nell'incontro di oggi a Gerusalemme. "L'aumento degli insediamenti nei Territori non aiuta il recupero della confidenza tra le parti necessaria allo sviluppo delle trattative"

di Daniele Biella

“Basta con la costruzione di nuovi insediamenti israeliani in Cisgiordania, sono il principale ostacolo al raggiungimento di un accordo di pace”. Queste le pesanti parole che Condoleeza Rice, segretario di Stato degli Stati Uniti, ha rivolto questa mattina al primo ministro d’Israele, Ehud Olmert, incontrato nella sua residenza a Gerusalemme. “Quello che serve ora sono passi in cui venga ripristinata la confidenza tra tutte le parti coinvolte, quindi qualsiasi atto che mini questa confidenza deve essere evitato”, ha proseguito la statunitense, riferendosi all’azione dei coloni.

Per una volta senza la consueta (e a volte eccessiva) cautela che spesso accompagna le prese di posizione degli Usa nei confronti del conflitto israelo-palestinese, le affermazioni della Rice hanno dato ancor più visibilità a un fenomeno sempre più radicato nei territori occupati, quello della colonizzazione di vaste parti di terreno da parte di interi gruppi di cittadini israeliani di fede ebraica, spesso originari di altre parti del mondo, Stati Uniti su tutti.

Proprio ieri è uscito l’ultimo rapporto del gruppo di attivisti più riconosciuto a livello internazionale, Peace now, che denuncia come nel giro di un solo anno le nuove costruzioni di settlements, insediamenti, è quasi raddoppiato, passando dai 1600 di un anno fa agli almeno 2600 attuali. Insediamenti, intesi come unità abitative, installati in territorio palestinese, spesso sulle colline, e che requisiscono ingenti parti di campi coltivati e da pascolo appartenenti a braccianti e pastori arabi musulmani e cristiani, lasciandoli senza opportunità di sostentamento.

Condoleeza Rice nel suo discorso a Olmert ha aggiunto che le prospettive di una pace imminente sono poche, nonostante i grossi sforzi in atto e la previa volontà di riuscire a trovare un accordo prima della fine del mandato di George W. Bush. La poca rappresentatività di Abu Mazen e del suo partito Al Fatah da una parte (che fatica a contrapporsi ai radicali di Hamas, che ora dettano legge in quell’enorme enclave che è oggi la Striscia di Gaza), gli scandali di corruzione del primo ministro israeliano e del suo governo e la continua costruzione del muro nonostante le condane internazionali sono il segno più tangibile del ristagnamento delle trattative per arrivare a una pace vera in Medio Oriente.


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