Volontariato

Ciò che può essere contato conta

di Giulio Sensi

Gli amici dell’Avis mi hanno invitato alla loro 78° assemblea generale. Un’assemblea che rilancia una sfida: quella di non fermarsi mai, di crescere sempre di più pur nella consapevolezza di fare parte di un sistema, quello del sangue in Italia, già all’avanguardia. Ne abbiamo parlato anche nel numero di Vita di febbraio, approfondendo il sistema sangue italiano e proiettandolo nel futuro.
Mi hanno chiesto un contributo sul tema della raccolta dati per il volontariato: come può essere utile la ricerca per far crescere e migliorare le organizzazioni. Lo affronterò insieme agli altri relatori, ma da una prospettiva non specialistica (non sono uno studioso del volontariato o del sociale, ma sono e sarò sempre uno studente del civile), ma molto concreta.

Le scelte che portiamo avanti nella nostra società si basano sulla conoscenza. Come mi suggerisce l’amico Paolo Venturi, “senza la conoscenza la decisione diventa più difficile e il rischio è quello poi di limitarsi a replicare o, peggio ancora, conservare”. Ha ragione Venturi: oggi i costi della conservazione (che si basa sull’inerzia) sono più alti di quelli dell’innovazione. E non si innova senza conoscere.

Spesso nelle realtà del terzo settore, o che studiano il terzo settore, i dati vengono visti e usati come fini a sé stessi (o peggio ancora come solo un costo): o per mostrare la propria forza quantitativa, o per fare presa nella comunicazione. È un errore, o meglio è un’occasione sprecata. Perché dovrebbero essere prima di tutto uno strumento e ancora più precisamente uno strumento di partecipazione. La raccolta dati è vissuta come una grande salita: arrivati all’apice, quando si giunge cioè ad averli in mano, la pesantezza del processo che li ha generati impedisce di vederli come un punto di ripartenza. In definitiva impedisce di godersi la discesa. La discesa è il confronto partecipato che dovrebbe avere un suo obiettivo: il miglioramento dell’azione e la crescita delle organizzazioni.

Prima ancora i dati vanno usati bene: spesso nel terzo settore c’è la tendenza a costruire indicatori mutuati dal profit con il risultato che si rischia, se non si circostanzia bene il tema, di tirare conclusioni su premesse quantomeno discutibili (si pensi al tema delicato della misurazione del valore economico del volontariato).

Un altro “vizio” dell’uso dei dati riguarda il loro utilizzo che tende a generalizzare fenomeni complessi e anche tendenze diverse che coesistono. Un esempio riguarda le organizzazioni di volontariato. La rilevazione campionaria della Fondazione Volontariato e Partecipazione e del Centro Nazionale per il Volontariato ha dimostrato che sull’impatto della crisi coesistono tendenze opposte: una, maggioritaria, che racconta di un impatto positivo (cioé farebbe crescere, a mò di reazione l’impegno dei volontari e dei soci), l’altra negativa (fa diminuire l’impegno). In mezzo ci sono molte ipotesi, compresa quella che gli intervistati dalla ricerca riconducano alla parola “crisi” fattori interni alle loro organizzazioni piuttosto che esterni.

Insomma, il tema è interessante, anche da una prospettiva di comunicazione e vi faremo sapere quello che emergerà dal dibattito di sabato prossimo. Intanto vi lasciamo con una affermazione attribuita ad Albert Einsten: “Non tutto quel che conta può essere contato e non tutto quello che può essere contato conta”. L’importante, come diceva sempre il mio allenatore di calcio di quando ero piccolo, è usare la testa.

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