Famiglia

Cinque punte di disperazione

"La guerra ha dimostrato che non ci sono più regole né leggi da rispettare.La sinistra al governo ha fallito,crescono lo scontento sociale e la confusione...»

di Cristina Giudici

Di lui Mario Moretti ha detto: «È d?acciaio, proprio d?acciaio, è fatto così, un vecchio contadino del Pci». Lui è Prospero Gallinari, 50 anni, ex membro della direzione strategica delle Brigate Rosse, ex carceriere di Aldo Moro in via Montalcini, condannato a tre ergastoli, e scarcerato cinque anni e mezzo fa per motivi di salute.«Sono come un gatto che ha già consumato tre vite», dice di sé, ridendo, nella sua casa di Reggio Emilia dove oggi vive con la sua compagna. «Sono morto nel ?79, quando mi hanno arrestato e mi hanno sparato in testa. Sono morto in carcere quando ho avuto il primo infarto e sono morto a Palmi quando il dottore del carcere mi ha salvato la vita e mi ha fatto operare d?urgenza perché mi si erano occluse di nuovo le arterie del cuore». Prospero, nome di battaglia Giuseppe, ex militante delle Br-Ucc, Brigate Rosse, Unione Comunisti Combattenti, parla a ruota libera di sé, della sue Brigate Rosse e dell?omicidio di Massimo D?Antona. «Non ho tanti elementi per giudicare ciò che è successo, ma da quello che ho potuto capire, l?analisi di queste nuove Br assomiglia a un disco rotto che continua a girare a vuoto. Il loro è un progetto perdente, a meno che il loro obbiettivo sia quello di organizzare la disperazione. Non sono fra quelli che il giorno dopo l?omicidio di D?Antona ha dato la colpa ai servizi segreti, dicendo che si voleva depistare l?attenzione pubblica dalla guerra in Serbia. Perciò sono preoccupato perché credo che queste persone possano in qualche modo radicarsi nella società».

La lotta armata si è chiusa con noi
«C?è troppa disperazione in giro, troppa esclusione sociale, nel nostro Paese. La sinistra al governo ha portato a termine un processo di ristrutturazione nelle aziende che ha estromesso migliaia di lavoratori. La guerra ha dimostrato che non esistono più regole né leggi da rispettare. Viviamo in un?epoca di incertezza e confusione. In questo clima, chiunque si mette a sparare può trovare seguito, almeno fra coloro che sentono di non avere nessuna prospettiva». Ma chi sono, compagni che sbagliano? «Beh no, vengono da quell?area lì, certo. E credo sia vero che, come dicono gli inquirenti, fra loro ci devono essere alcuni latitanti rifugiati in Francia e forse alcuni che stanno ancora in galera. Non ho elementi per affermarlo, ma credo che si tratti di un?ipotesi credibile». Gallinari è fra quelli che al processo Moro Quater, riprendendo la ?Campagna della libertà? lanciata da Curcio nel 1984, hanno dichiarato che la lotta armata era finita. «Il documento si chiamava ?passaggio politico? e in sintesi diceva che la lotta armata era finita, che i militanti delle Br-Ucc avevano intenzione di passare all?attività politica, dentro la sinistra comunista, e che tutte le Brigate Rosse erano in carcere, perciò da quel momento chi sparava era un?altra cosa, lontana da noi». Allora li vogliamo condannare o no i nuovi brigatisti? «Guardi, io non sono un giudice e sulla mia bocca ogni condanna suonerebbe almeno molto ridicola, posso solo dire che questa azione non ha alcuna continuità con le nostre Brigate Rosse. Noi avevamo un movimento politico dietro le spalle. Era in atto uno scontro sociale e c?era un processo di continuità con la storia del partito comunista. Queste sono persone rimaste ingabbiate in un? analisi superata dalla politica e dalla storia».

In questo Paese nessuno vuole la verità
Ma ci sarà pur qualche colpevole? «Più che altro parlerei di responsabilità. Se gli Anni di piombo fossero stati discussi, storicizzati e superati, forse oggi non ci troveremmo con un cadavere. Loro dovevano darci l?occasione di spiegare cosa sono stati per noi quegli anni, perché centinaia di persone hanno preso le armi e sono andate in clandestinità. In questi anni, la sinistra istituzionale ha contrastato, non solo l?indulto, ma persino ogni riflessione alimentando la retorica dei misteri e della dietrologia, proprio come è stato fatto in queste settimane. Io non mi sono mai presentato alla Commissione Stragi per dare la mia testimonianza perché sapevo che le mie dichiarazioni sarebbero state strumentalizzate. Nessuno, in questo Paese vuole ricostruire la verità di quegli anni, i politici preferiscono continuare a giocare a rimpiattino. Anche perché se io avessi qualcosa da dire, o da rimproverarmi, non lo direi mai pubblicamente per i motivi che ho appena spiegato. Viviamo in un Paese la cui storia è rimasta bloccata fra trame e complotti. Basti pensare che un esponente del regime democristiano come Andreotti, invece di essere obbligato ad assumersi le sue responsabilità di quegli anni, viene messo sotto processo per un bacio a Totò Rina, non è ridicolo? Quando un periodo storico si chiude, bisogna farci i conti. Forse il paragone è un po? forte, ma credo che avremmo dovuto fare come Mandela che, dopo l?Apartheid, ha istituito la commissione per la Riconciliazione e la Verità». Vuol dire che se ci fosse stato un effetivo superamento di quel periodo, forse D?Antona non sarebbe stato ammazzato? «Ne sono più che convinto». E se il governo avesse varato una legge di indulto? «Beh, forse avremmo qualche padrino in meno delle nuove Brigate Rosse, comunque l?indulto riguarda la sfera giudiziaria e non politica».

Ai killer di D?Antona io dico che…
Gallinari non ha mai smesso di fare politica e, dal momento in cui è stato scarcerato, ha partecipato alle discussioni, alle assemblee, alle riunioni per parlare di quegli anni e di questi, gli anni ?90. «Certo, le cose sono un po? cambiate, la globalizzazione ha acuito il divario Nord-Sud del mondo. Siamo stati sconfitti, il contesto è mutato, ma le mie radici sono sempre le stesse: il partito comunista». Quando siete stati sconfitti? «Nel ?79. Dopo il sequestro Moro, l?organizzazione era fortissima. Ma se fuori c?erano diecimila persone che facevano parte del movimento era anche vero che di questi almeno novemila facevano pressione per entrare nella struttura vera e propria delle Brigate Rosse. Ecco, in quel momento, non abbiamo capito che avevamo già perso. Abbiamo pensato che ci sarebbe stata un?offensiva rivoluzionaria e invece è arrivato il riflusso: qualcuno si è sposato, qualcun altro ha cominciato a bucarsi oppure ha fatto carriera, insomma, come si dice in questi casi, ha vinto il Capitale». In questi giorni, Gallinari sta aspettando il provvedimento giudiziario che, dopo quasi sei anni di sospensione pena, lo costringerà agli arresti domiciliari. Una decisione che risente del clima di questi giorni?«Assolutamente no, ufficialmente io risulto ancora detenuto a Rebibbia, perciò prima o poi il magistrato di sorveglianza doveva trovare una soluzione definitiva e, per togliersi la castagna dal fuoco, ha scelto un provvedimento di arresti domiciliari, ma sono sicuro che in futuro potrò ottenere la misura di lavoro esterno o di semilibertà che mi permetterà di continuare a lavorare nell?azienda poligrafica, qui a Reggio Emilia. In carcere non possono riportarmi perché tutti sanno che sono cardiopatico». Gallinari è stato uno dei protagonisti del sequestro Moro. Per molti anni i giudici lo hanno accusato di aver premuto il grilletto per uccidere il presidente della Democrazia Cristiana. Lui non ha mai smentito né confermato. Poi nel 1994, nel libro intervista ?Mario Moretti, Brigate Rosse, una storia italiana? a cura delle giornaliste Rossana Rossanda e Carla Mosca, l?ex capo delle Br ha detto: «Non avrei permesso che lo facesse un altro, era una prova terribile, uno si porta la cicatrice addosso tutta la vita». Perché è stato zitto? «Veramente a scagionarmi è stata Adriana Faranda, quando si è dissociata, comunque su questo punto dico solo che Moro è stato ucciso dalle Brigate Rosse. In quel momento le responsabilità non erano individuali, ma collettive, dell?organizzazione». Dopo l?omicidio D?Antona, è saltata fuori anche la storia del grande vecchio, Markevitch, anfitrione delle Br durante il sequestro Moro. Cosa ne pensa? Una bufala? «Penso che giocherò al lotto i numeri della duchessa e del pianista», attacca con sarcasmo, l?ex brigatista. «Questa storia è grottesca. Non capisco il senatore Pellegrino e la sua banda. I casi sono due: o siamo di fronte a degli idioti o a dei manovrati. In ogni caso preferisco optare per la seconda ipotesi. Invece di continuare a confondere le carte, questi signori dovrebbero pensare a come chiudere definitivamente gli anni di piombo senza cercare scappatoie». Ma cosa direbbe agli assassini di D?Antona se li incontrasse? «Dove siete stati negli ultimi vent?anni? Dove eravate? Non avete capito che la lotta armata non ha più senso? Ecco cosa direi loro. Posso solo provare a immaginare quali sono stati i loro pensieri. Decidono di fare un azione contro il patto sociale. Fuori c?è la guerra, la pulizia etnica, D?Alema uccide dieci bambini al giorno, sostenendo la Nato e loro vanno avanti, come una macchina. Scrivono alcune dichiarazioni sulla guerra e l?antimperialismo e fanno l?attentato. Poi, il movimento pacifista, che in questi due mesi aveva conquistato forza, viene spazzato via dalla loro azione. Dall?altra parte mi fa paura anche la strumentalizzazione: mentre alcuni magistrati fanno il lavoro d?indagine, altri pretendono di fare di tutta l?erba un fascio, dai centri sociali agli antiimperialisti, tutti nel cesto del nuovo terrorismo».

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