Politica
Cinque proposte per salvare l’Italia
Marcegaglia: «Il tempo degli annunci è finito»
«Non è un documento di sfida al governo, ma certo sarebbe sbagliato se l’esecutivo sottovalutasse l’impegno di cinque organizzazioni come le nostre. A questo tavolo ci sono dalla grande industria alla cooperazione sociale. Ed è un segno di grande coesione». Scandisce la parole Luigi Marino, presidente di Confcooperative e portavoce di Alleanza delle Cooperative Italiane, che assieme a Abi, Ania Confindustria e Rete Imprese Italia (che raggruppa Casartigiani, Confartigianato, Cna, Confcommercio e Confesercenti), ha presentato oggi un documento di cui sentiremo parlare. Scandisce bene, Marino, per non essere frainteso: «Vogliamo incalzare il governo perché faccia scelte rapide e decisive».
Non un ultimatum al governo, eppure…
Un tono cauto ma fermo condiviso d’altro da tutti gli intervenuti alla conferenza stampa di presentazione del Progetto delle imprese per l’Italia: Emma Marcegaglia, Fabio Mussari, Fabio Cerchiai e Ivan Malavasi, a capo del Cna e presidente di turno di Rete Imprese Italia. Al quale è spettato l’onere di presentare le proposte del mondo produttivo. «Le cinque cose da fare subito», «idee per la crescita»; ha spiegato Malavasi, «che il sistema industriale rivolge a governo, Parlamento, alle forze di maggioranza e di opposizione, assumendoci con senso di responsabilità l’iniziativa di avanzare proposte e disponibili a condividere gli oneri che ne derivano». Non è un ultimatum al governo, certo («Non vogliamo sostituirci alla politica, non ci interessano soluzioni spagnole», ha aggiunto Marcegaglia, «ma il tempo degli annunci è finito»). Ma di sicuro è una presa di posizione molto netta: «Salvare l’Italia non è uno slogan», come ha insistito Malavasi. Non lascia dubbi nemmeno il documento condiviso dalle organizzazioni: «Da troppo tempo l’Italia non cresce. Da troppo tempo le nostre imprese perdono competitività. Da troppo tempo i giovani italiani vedono ridursi opportunità e speranze», si legge. «Per salvare oggi l’Italia occorre affrontare cinque questioni prioritarie: spesa pubblica e riforma delle pensioni; riforma fiscale; cessioni del patrimonio pubblico; liberalizzazioni e semplificazioni; infrastrutture ed energia».
Pensioni e spesa pubblica
Elevare l’età pensionabile a 65 anni, anche per le donne dal 2012, anticipare l’aggancio automatico dell’età pensionabile alla speranza di vita, riformare gli indennizzi d’anzianità, abrogare tutti i regimi speciali. Operazioni che «determinerrebero un risparmio di 2,9 miliardi nel 2013 e di 18 miliardi nel 2019». Quanto alla spesa pubblica (che nell’ultimo decennio è passata dal 41,8% al 46,7% del Pil), «Occorre intervenire sui costi della politica e degli apparati istituzionali» e tenere sotto controllo la spesa sanitaria (tra 2001 e 2011 passata da 67,5 miliardi agli attuali 113,5), «incentivano la partecipazione dei cittadini abbienti alle varie forme di sanità integrativa». Non è più rinviabile, fine, un intervento sulle province.
Riforma fiscale
«Il governo eserciti la delega per la riforma fiscale, evitando di ricorrere alla clausola di salvaguardia prevista dalla manovra di agosto e puntando a ridurre il prelievo su famiglie e imprese. È indispensabile dare impulso alla competitività». Come? Riducendo il cuneo tra il costo del lavoro e la retribuzione netta, avviando il superamento dell’Irap, riducendo l’Irpef, usando la leva fiscale per «poche e selezionate finalità di politica industriale e per sostenere l’occupazione in particolare dei giovani». E ancora: promuovendo investimenti in ricerca e innovazione, strutturando quote di salario correlate alla produttività, rafforzando la lotta all’evasione e all’elusione fiscale (perché non fissare a 500 euro la soglia per l’utilizzo del contante?), dando certezza del diritto (accelerando i tempi della giustizia civile) e facendo una patrimoniale. «Avanziamo l’ipotesi di prelievo annuale su tutti gli attivi immobiliari e mobiliari», ha precisato Marcegaglia, «per patrimoni superaiori a 1,5 milioni di euro e della misura dell’1,5 per mille, ma per ridurre Irpef e Irap» (una proposta simile l’ha discussa sul magazine Nicola Rossi, senatore ex Pd ed economista vicino alla Fondazione di Luca Di Montezemolo).
Patrimonio pubblico, liberalizzazioni e infrastrutture
Le cinque organizzazioni propongono che sia stilato, prima possibile, un piano immediato per la cessione dei beni mobiliari (ovvero le società di servizi locali) e immobiliari. «Ovviamente vanno fatte procedure a evidenza pubblica. Le risorse ottenute, ingenti anche secondo le stime del Tesoro, andrebbero però sottratte al patto di stabilità: gli enti locali potrebbero così utilizzarle per rilanciare le opere pubbliche», ha aggiunto Malavasi.
Si dovrebbero inoltre liberalizzare i servizi professionali, le attività economiche (abrogando le restrizioni alla libera iniziativa, fatto salvo l’interesse generale, e accelerando i procedimenti amministrativi per l’avvio id nuove ipmrese), liberalizzare traporti e servizi pubblici locali (istituendo una Autorità dei trasporti e accorpando le compenteze regolatorie per acqua e rifiuti a una unica autorità), assicurare reegole omogenee per le attività d’impresa su tutto il territorio nazionale (riformando l’articolo 117 della Costituzione riportando a competenza esclusiva dello Stato energia, grandi reti e infrastrutture). Infine lo Stato dovrebbe impegnarsi sul fronte delle infrastrutture e dell’efficienza energetica, pilastro della green economy.
Il mondo produttivo ha così messo le proprie carte sul tavolo. «Proponiamo riforme profonde e urgenti. Se adottate, prevedono sacrifici per tutti, noi compresi, ma anche vantaggi per tutti, liberando risorse da investire nell’occupazione giovanile, per ridurre le tasse. Siamo pronti a fare la nostra parte». Ora la parola al governo.
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