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Cinque previsioni sull’uso dei dati nella cooperazione nel 2016

Se il 2015 è stato l’anno della “data revolution” promossa dal segretario generale dell’Onu Ban ki moon per arrivare preparati ai nuovi obiettivi del Millennio, è nel 2016 che vedremo profondi cambiamenti a livello di uso dei dati nel mondo dell’aiuto allo sviluppo. Cinque previsioni di come organizzazioni ed esperti sfrutteranno big data e open data per migliorare il loro approccio nella lotta alla povertà.

di Donata Columbro

“I dati sono la linfa vitale di ogni processo decisionale e materiale grezzo per garantire responsabilità e trasparenza; senza dati di alta qualità progettare, monitorare e valutare politiche efficaci è praticamente impossibile”. È la conclusione a cui sono arrivati gli esperti riuniti dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban ki moon nel luglio del 2014 per preparare il percorso della data revolution prima dell’approvazione dei nuovi obiettivi del millennio, avvenuta a New York lo scorso settembre. I dati protagonisti di un nuovo approccio che potrebbe cambiare il mondo della cooperazione allo sviluppo. Tanto che nella nuova strategia, tra i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, ce n’è uno che sottolinea in particolare il “bisogno di aumentare in modo significativo la disponibilità di dati di alta qualità, attuali e affidabili”, per esempio aumentando “i finanziamenti alle agenzie statistiche nei paesi in via di sviluppo”.

Se il 2015 ha preparato la strada, il 2016 è l’anno in cui i dati saranno al centro del processo decisionale nella cooperazione allo sviluppo, in almeno cinque settori.

1. Elezioni

Lo scorso novembre in Burkina Faso si sono tenute le prime elezioni dopo la caduta di Blaise Compaoré, l’ex presidente rimasto in carica dal 1987 al 2014, fino a quando la popolazione. Lunedì 30 novembre, il giorno dopo il voto, i burkinabé hanno avuto informazioni affidabili sul nome del loro futuro capo di stato: per la prima volta i dati delle elezioni sono stati resi disponibili in tempo reale, seggio per seggio, grazie a un’applicazione online gestita dalla Burkina Open Data Initiative (Bodi). In un contesto di fragile equilibrio politico, dove a un mese dalle elezioni i militari avevano tentato un colpo di stato, avere dati affidabili comunicati in modo tempestivo ai cittadini ha contribuito a mantenere la stabilità in un momento in cui la transizione democratica era più a rischio.

2. Cambiamenti climatici (per monitorare gli impegni e i risultati)

A dicembre, riuniti a Parigi per COP21, i rappresentanti di 195 paesi hanno firmato un accordo sul clima che li impegna “decarbonizzare l’economia”, un obiettivo che richiede un’adesione di massa verso l’uso di energia rinnovabile. Negli Stati Uniti, l’Energy Information Administration sta rilasciando nuovi dati che aiuteranno il governo a pianificare l’uso di energia rinnovabile. Alcune aziende, come SolarCensus negli Stati Uniti o REConnect in India, stanno analizzando dati geospaziali per verificare dove posizionare turbine a vento e pannelli solari per ottenere il massimo dell’efficienza. I dati delle emissioni di Co2 e dell’uso delle rinnovabili, come degli investimenti messi in atto per convertirsi a queste tecnologie, serviranno per monitorare gli impegni presi dai paesi a Parigi.

3. Immigrazione

Secondo le ultime cifre diffuse dall’Unhcr nel 2015 più di 60 milioni di persone sono fuggite dalle proprie case a causa di guerre, carestie e disastri naturali: si tratta del numero più elevato dalla seconda guerra mondiale. Più di venti milioni di rifugiati provengono da Siria, Afghanistan e Somalia e la maggioranza di loro trova rifugio nei paesi confinanti. Il tono allarmistico con cui giornali e governi parlano del fenomeno migratorio non ne aiuta la gestione. I profughi siriani ospitati in Europa sono molto meno rispetto a quelli che si trovano nei campi allestiti in Giordania, Libano, Turchia.

È anche per questo motivo che in Italia è nato Open Migration, portale di informazione e analisi sulle migrazioni e dei rifugiati, per la narrazione globale dei fenomeni migratori e delle persone che ne fanno parte, partendo da numeri e dati reali.

4. Monitorare l’impatto degli aiuti, soprattutto durante le emergenze

Un’inchiesta d Pro Publica ha svelato che la Croce Rossa avrebbe ricevuto donazioni per 500 milioni di dollari dopo il terremoto di Haiti ma ne avrebbe spesi molti meno per realizzare tutti i progetti promessi, ovvero la costruzione di 700 nuove case con servizi igienici e la riparazione di 4mila abitazioni secondo criteri antisismici. In realtà di abitazioni permanenti ne sarebbero state costruite solo sei. A queste critiche la Croce rossa ha già risposto, ma per il futuro, non sarebbe meglio evitare simili problematiche di trasparenza?

Per esempio monitorando in tempo reale le donazioni ai governi e alle organizzazioni non governativa dopo le emergenze, verificandone la gestione e l’utilizzo. Con l’aiuto della cooperazione statunitense, dopo il terremoto in Nepal è stato attivato il sito internet Aid management platform, per valutare l’arrivo e la gestione dei fondi dopo il sisma.

5. Misurare la povertà

Il 2015 è l’anno in cui l’Onu ha diffuso dati molto incoraggianti su uno degli obiettivi del millennio, quello che riguarda la lotta alla povertà: non c’è mai stato nella storia un numero di persone così basso che vive con meno di 1,90 dollari al giorno. Ma la stessa Banca mondiale ritiene che si debba continuare a trovare metodi migliori per capire lo stato di benessere della popolazione, come questo messo a punto dall’ufficio nazionale statistico in Uganda insieme all’agenzia dell’Onu Pulse Lab Kampala: la situazione economica e sociale dei villaggi viene valutata a seconda dello ‘status’ dei tetti delle case grazie alle immagini satellitari.

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